È sempre il presente a rappresentarci e se “Per dare forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici”, come afferma Salvatore Settis nel suo Futuro del ‘classico’ (Einaudi, 2004), questo interno non restituirebbe un tributo all’architettura e a nuove stagioni della vita senza il dna portaluppiano e l’affettuoso retrofit familiare. Già, perché è cambiata la scena ma tutto continua a funzionare, in una felice coabitazione tra storia e contemporaneità, nell’appartamento di Filippo Taidelli all’ultimo piano di un edificio che l’architetto Piero Portaluppi, suo bisnonno, progettò a Milano sul finire degli anni Trenta. Siamo in via Morozzo della Rocca, poco distanti dalla milanesissima chiesa di Santa Maria delle Grazie, in un palazzo severo dalla facciata rivestita in lastre di pietra serizzo ghiandone, l’atrio con la scalinata e le pareti in raro marmo verde malachite.
Al piano terra, dove ora c’è la Fondazione Portaluppi, che ne conserva l’archivio, il maestro scelse di aprire il proprio studio. “Proprio lì, in una zona di pertinenza dei disegnatori, dopo essere rientrato da esperienze di studio e formazione all’estero, poco più che ventenne, mi ero barricato in un fantastico antro sul cortile”, ricorda Taidelli, che è ritornato all’avita dimora con la moglie Julia e i loro tre bambini solo qualche anno fa, una volta conclusa la ristrutturazione dell’appartamento all’ultimo piano che beneficia di un bel rapporto tra l’interno e l’esterno e di un privilegiato terrazzo al piano. “La classica impostazione dell’epoca, con corridoio centrale e stanze sul perimetro, è stata trasformata in un articolato open space”, spiega, “che abbraccia cucina, ingresso e soggiorno in una sequenza fluida di ambienti passanti che connettono visivamente il terrazzo a est con il cortile interno, inondati di luce naturale.
La nuova distribuzione ruota intorno all’unico ‘reperto’ dell’epoca, il pilastro in cemento armato a vista della struttura originale che è ormai diventato un membro della famiglia”. Di Portaluppi restano ovviamente dei dettagli unici. “Rimangono le sue tracce nelle generose finestre a ghigliottina con davanzali di marmi policromi, trasformate in porte finestre sul lato del terrazzo per dare maggiore continuità tra dentro e fuori; nel parquet in noce disposto a scacchiera e nelle porte interne originali ‘maggiorate’ con la maniglia al centro (l’ossessione della simmetria vince per una volta sulla funzionalità!). Ma anche negli arredi: la cassapanca in radica a losanghe, figura geometrica prediletta che si ritrova anche nel legno intrecciato dei carabottini copricaloriferi, le lampade a stelo con i diffusori in vetro serigrafato e il cablaggio anni Trenta rimesso a norma.
L’adattamento impiantistico è stato una sfida”, continua. “Rifare delle malsane tubature di piombo in un bagno rivestito totalmente in marmo – pavimento e pareti – conservando l’integrità del materiale originale, un’operazione chirurgica. Le medesime necessità in un altro bagno ci hanno portato ad adottare la resina a pavimento, anche se attraverso il recupero del marmo tolto siamo riusciti a ripristinare totalmente il paramento lapideo delle pareti”. Non è stato un restauro conservativo classico, comunque, piuttosto una ricerca di armonia priva di mimesi in un interno che era già stato parzialmente rimaneggiato nel corso del tempo. La cifra dell’intervento è proprio l’efficace mix di sedimentazioni e contaminazioni che si è generato con l’innesto di nuovi segni, arredi e oggetti, depositatosi in modo quasi fisiologico, leggero e impalpabile, dentro un involucro diventato una sorta di laboratorio custom made e personalizzato. Un terreno di sperimentazione per testare soluzioni, quelle più riuscite, da proporre anche con diverse modalità in altri progetti.
Ci sono per esempio le nuove luci di Taidelli, come la PHI Lamp di Firmamento Milano a sospensione sopra il tavolo da pranzo, la famiglia di coffee table circolari in acciaio e piani a specchio sempre su suo disegno, i pezzi amati di Arper (le sedie Saya) e i tessuti di C&C che rivestono divani e cuscini, un quadro della Madonna col Bambino di Gaudenzio Ferrari accanto alla tela morsicata dall’artista contemporanea Alice Tomaselli. E poi, fotografie, le prove d’artista dell’amico Adrian Paci (per cui Taidelli ha progettato la Art House in Albania), le foto di Andrea Martiradonna, “il disegno essenziale delle due piccole gocce di Roni Horn che rispecchia la fragile poesia della micro scultura della ballerina di Melotti”, tanti libri e altre espressioni di una personale dimensione professionale, emotiva e culturale.
Il cuore della casa è la cucina che, una volta dimenticato lo sviluppo longitudinale dell’impianto spaziale anni Trenta, si trova ora in prossimità dell’ingresso. Una zona un po’ ibrida, dominata da pareti-vetrate su telaio di metallo, permeabili alla luce e allo sguardo, “e concepita come un grande banco da lavoro con le gambe in noce nazionale, le mensole a vista, la cappa per i fuochi del Portaluppi, recuperata come il bel tavolo da tinello con il suo piano in marmo Verde Alpi che armonizza con il Botticino degli imbotti delle finestre”, racconta Taidelli. Sul terrazzo, il fondale scenico verde, formato dalle piante e dalla struttura arcuata in ferro del pergolato – quasi illeggibile perché avvolta da una vite e da un antico gelsomino – garantisce l’ideale ombreggiamento degli spazi a giorno interni, dove si innesta la scala che collega il piano principale con la nuova porzione abitativa ricavata nel sottotetto.
Le cappuccine costruite nella classica copertura a falda cieca si riconducono a un intervento successivo e sono state calibrate sempre rispettando le dimensioni e le caratteristiche della facciata finestrata sottostante che risulta arretrata rispetto al filo strada. “Negli anni Sessanta era stata creata un’area abitabile nel sottotetto, e quando sono venuto a vivere nell’appartamento ho acquisito dal vicino la metà del sesto piano corrispondente alla mia unità”, precisa il progettista. “L’ho dotata di nuovi abbaini per consentire un ricambio d’aria e di due nuovi accessi per rendere gli spazi anche indipendenti in un futuro”. Sopra, il sapore è decisamente contemporaneo e cambia la percezione dello spazio che denuncia un forte processo di ibridazione multigenerazionale delle funzioni, mentre grandi pareti attrezzate in rovere chiaro che seguono la falda del tetto scandiscono il passaggio tra le stanze bianche con qualche richiamo di botticino nel bagno.
“Fitness, studio, foto, film, giochi e musica, vestiti e letto, a seconda delle ore del giorno si combinano tra loro in una caotica armonia. Questa parte della casa rappresenta un po’ la nostra bolla più privata, dove ci ritiriamo quando è possibile. C’è una bellissima vista sui tetti di Milano, sulla città che cambia, su Porta Nuova, in lontananza si scorge la Madonnina. Poi i bambini che sono un po’ chiassosi sono riusciti a ricavarsi un nascondiglio, di fianco alla scala, dove hanno costruito la loro tana, la bolla nella bolla”. Filippo Taidelli il trasformista, che onora il passato e progetta il futuro. Ci interessa molto questo suo approccio progettuale empatico, in grado di aprirsi al confronto e all’accoglienza di diverse istanze abitative, perché ci permette una piccola digressione, sul valore del bello terapeutico in cui il bisnipote di Portaluppi, prima di altri, ha sempre creduto.
Lo dimostra il suo forte impegno e coinvolgimento nell’ambito dei progetti di ricerca sull’architettura sanitaria: dal Campus Humanitas University a Pieve Emanuele (MI), già realizzato, al MEDTEC Innovation Building, la nuova facoltà di Medicina Ingegneria, Humanitas e Politecnico di Milano, in fieri, un hub che riunisce terapia, didattica e ricerca tecnologica come espressione della nuova frontiera medica. “Nella nostra contemporaneità fragile, fino ad oggi gli architetti e i designer sono stati tenuti fuori da questi temi essenziali, urgenti e trascurati. Quasi che riguardassero cose troppo serie. Invece c’è molto da fare”, riflette, “per l’umanizzazione e il comfort emotivo dei luoghi della cura. Ci sono involucri, spazi, relazioni, comportamenti consapevoli, scenari verdi su cui ragionare. Senza dimenticare il controllo formale di uno sviluppo tecnologico che va velocissimo e va anticipato con il disegno di spazi flessibili e fluidi, ma non per questo anonimi. Bisogna infatti far emergere il volto emozionale della tecnologia per responsabilizzare gli utenti nelle loro azioni. E per rendere l’interfaccia uomo-macchina, se non domestica, quantomeno non alienante e fredda”. Alla fine, tutto torna.
Progetto di Filippo Taidelli - Foto di Andrea Martiradonna