Dopo la scelta dell'opera d'arte, interviene l'architettura
«Per me nello spazio progettato l’arte procede come una funzione algebrica», spiega l’architetto Fabrizio Fragomeli di Torino, «Si parte dall’1 che è l’opera d’arte, ma il principio su cui procede la funzione è il 2, cioè il dubbio: quale opera d’arte scegliere? A questo punto interviene l’architettura».
Fragomeli è un artista del progettare, un visionario capace di inventare finzioni che hanno funzioni nel quotidiano e di trasformare l’arte in qualcosa da usare ogni giorno.
Ma il suo progettare procede come la funzione algebrica da lui indicata: occorre guardare le opere d’arte così il dubbio farà muovere le emozioni del cliente… «E io, in base alla loro reazione, capisco cosa disegnare», continua l’architetto «La scelta di un'opera, cioè, è lo sguardo oggettivo del cliente che io cerco di restituirgli nel progetto.
E viceversa: spesso sono io che conduco il cliente nelle gallerie d’arte per vedere i lavori di artisti già affermati, come quelli che propone Marco Rossi, ma anche di emergenti (per esempio quelli della galleria Crag di Torino), l’importante è che il fruitore possa svelarsi davanti alle opere e che scopra nuovi modi di esprimersi».
I colori dell'arte che diventano le tonalità degli interior
Così per esempio racconta della casa per una giovane donna pensata a colori, dove l’ambiente classico e le boiserie dialogano con inserti magenta e quadri astratti sui toni del blu per farne un ambiente onirico, oppure la casa di un collezionista. In questo caso Fragomeli ha creato dei setti in legno con cui dividere lo spazio e appoggiare da un lato le opere, e dall’altro un mobile o la cucina… «In questo caso il tema era scegliere quali opere vedere sempre e quali solo qualche volta.
La scelta dei setti è piaciuta al committente che ha amato l’idea di un’integrazione completa dell’arte nell’architettura.
È un esempio, questo, di come si aggiungono spazi con le opere d’arte e di come questi setti consentano di vedere l’opera e di usarla». La casa allora diventa uno spazio scenografico: «L’opera crea una scenografia teatrale con un’ottica museale», dichiara Fragomeli, con una chiarezza quasi lapidaria.
Dunque è una finzione in cui l’abitante della casa è un attore che recita un ruolo?
«In qualche modo, sì: è l’unico posto in cui recita senza maschera e ha bisogno di sentirsi protagonista assoluto. Quello che propongo è una finzione, frutto di una contrapposizione: abitare la scena teatrale in cui essere se stessi veramente.
L’elemento museale, poi, serve a creare coni ottici visivi per definire lo spazio in cui essere protagonista.
Nel tempo l’opera si può cambiare, andando incontro alle nuove esigenze del padrone di casa. L’importante è che gli spazi siano stati pensati correttamente per corrispondergli.
In un’educazione al bello, alla bellezza. Che poi è la bellezza del cliente stesso: è lui che scegliendo dichiara chi è». Un lavoro maieutico, dunque, quello del progettista, che tira fuori la conoscenza dalle persone, i committenti, appunto, per cui disegna regni da vivere.