C’è un altro aspetto molto interessante di questa storia. Racconta Andrea Caputo:“In Corea, quando si interviene a scala piccola, resta un margine di libertà e improvvisazione.
Tutto viene costruito in situ. In cantiere viene montata la falegnameria e la carpenteria, e il progetto diventa un lavoro quasi totalmente artigianale, ogni volta straordinario proprio perché fatto in casa. Non solo. Per scelta il nostro studio non si occupa di product design e, anche in questo caso, abbiamo lavorato con giovani designer coreani.
A Jeongseob Kim abbiamo chiesto, per esempio, di progettare le sedute e i tavoli, poi realizzati in metallo processato con determinati tipi di galvanica e smerigliato a mano per ottenere un effetto sensoriale coerente con il carattere del luogo.
È il nostro modus operandi nell’approcciare il territorio: non generare meccanismi impositivi”, riflette il progettista, aggiungendo: “Da molti anni provo a fare da ponte tra Milano e la Sud Corea come promotore di iniziative che sono legate ad architetti e designer locali.
DropCity ne è un grande volano. Ma la scena coreana merita: è davvero unica per l’Asia”.