Andrea Caputo Studio trasforma una villa storica nel quartiere di Samcheong-dong, a Seoul, in un luogo di ritrovo contemporaneo

A Seoul, capitale della Corea del Sud, metropoli di 10 milioni di abitanti, il quartiere di Samcheong-dong fa parte del tessuto antico della città, a nord del fiume che, come un asse, separa la zona più moderna sviluppata a sud.

È in questo contesto ancora defilato in rapporto ai flussi turistici internazionali, ma in grande trasformazione, dove i cittadini spesso si rifugiano per sfuggire alla frenesia, al rumore e al traffico, che si colloca l’intervento dello studio italiano guidato da Andrea Caputo e completato quest’anno: la riconversione di una villa fine Ottocento, nata come residenza privata, in un caffè d’avanguardia, pensato per un pubblico locale giovane e informale.

Uno spazio ricettivo dove si può anche lavorare smart, organizzare incontri e riunioni o solo postare su Instagram i forti e seducenti contrasti che ne disegnano l’identità ‘da cartolina 2.0’.

L’architettura si lega infatti ancora alla figura dell’Hanok, il villaggio storico coreano, nell’immaginario occidentale riconducibile alla tipologia tradizionale della costruzione in pietra e legno caratterizzata dalla copertura a pagoda e nella morfologia all’impianto a corte.

Ma il suo nuovo carattere racconta un’altra storia.

“Si sta assistendo a una riconversione graduale ma costante di questo modello di tipologie storiche in nuove forme di utilizzo, soprattutto come residenze temporanee o strutture ricettive”, racconta l’architetto Caputo.

Di base a Milano e a Shanghai, in questi ultimi nove anni il suo studio ha sviluppato una ventina di progetti a Seoul a scale diverse, tra cui quattro edifici multifunzionali e alcuni dedicati al retail, conquistandosi confidenza e fiducia sul mercato coreano.

“Sarà il fatto che ci esprimiamo con un linguaggio contemporaneo anche nell’approccio al tema dell’heritage, qui molto apprezzato, rendendo davvero esplicito quello che è il nuovo”, riflette.

“Ma non è mai facile ovunque coniugare la ristrutturazione con la volontà di intervenire non solo in modo filologico o conservativo, al contrario lavorando su segni chiaramente riconoscibili e peculiari nella loro temporalità”.

La condivisione della ricerca di un diverso punto di equilibrio ha convinto il cliente ad abbracciare anche la proposta più radicale del progetto. Quella di sottrarre un elemento storico del preesistente: il muro di recinzione che proteggeva la villa dalla strada.

“Però era necessario demolirlo”, riconosce Caputo. “Eliminato il limite si è creato un rapporto osmotico molto diretto tra gli ambiti esterni e interni, pubblici e privati. Tant’è che di sera, quando il locale chiude, le persone si fermano sui gradini che formano una sorta di podio e spazio di aggregazione, ritrovando lo stimolo a ritornare in questo luogo che per noi avrebbe dovuto evocare la grande concentrazione creativa dell’isola di Jeju”.

Così, dalla strada, appare subito evidente anche la configurazione un po’ dinoccolata dei volumi che, in una concatenazione sciolta e fluida intorno alla corte centrale, disegnano anse, rientranze e protuberanze dell’edificio confinante con il parco della villa imperiale.

“Ne abbiamo mantenuta intonsa l’ossatura, dalle fondazioni alla copertura, dal patio al giardino classico interno, fino ad alcune partizioni che contribuiscono alla stabilità della costruzione”. L’apparato strutturale, l’hardware del progetto.

“Lo sviluppo si è quindi focalizzato sui connotati anche epidermici degli elementi nuovi. Abbiamo lavorato con materiali contrapposti tra loro e molto diversi da quelli della tradizione. Metallo e non legno, cemento e non pietra.

Volutamente, un tipo di scrittura quasi industriale che va nella direzione opposta della casa”, continua. “Poi, per esasperare questo concetto, abbiamo immaginato all’interno dell’esoscheletro storico la creazione di un condotto dell’aria condizionata. Un maxi condotto abitabile a scala umana alto tre metri, che è diventato la nostra guida progettuale e il fil rouge tra i vari spazi.

Nell’esplorazione del tema, ci siamo lasciati ispirare dalla ricerca di Charlotte Posenenske, l’artista concettuale che a fine anni Sessanta lavorò molto con i tubi d’acciaio fabbricati industrialmente e decontestualizzati”.

Posenenske realizzò sculture astratte con componenti modulari di serie, simili nell’aspetto ai pozzi dell’aria condizionata. Nell’interpretazione architettonica dello studio Caputo, i raccordi degli elementi curvi riprendono in esterno/interno la forma dei condotti dell’aria condizionata, ma riportata a una scala urbana.

Tutto si lega infatti a questo aspetto impiantistico, quasi provocatorio, che esce, rientra, gira, diventa manifesto del progetto e generatore di ulteriori declinazioni nel rapporto spaziale tra le parti: confronto con le aperture sui lati lunghi, innesto di una serie di layer di lamiera metallica e vetro nel paramento murario, esfoliazione della parete, intagli nei box metallici, un po’ alla Kubrick, destinati ai servizi.

C’è un altro aspetto molto interessante di questa storia. Racconta Andrea Caputo:“In Corea, quando si interviene a scala piccola, resta un margine di libertà e improvvisazione.

Tutto viene costruito in situ. In cantiere viene montata la falegnameria e la carpenteria, e il progetto diventa un lavoro quasi totalmente artigianale, ogni volta straordinario proprio perché fatto in casa. Non solo. Per scelta il nostro studio non si occupa di product design e, anche in questo caso, abbiamo lavorato con giovani designer coreani.

A Jeongseob Kim abbiamo chiesto, per esempio, di progettare le sedute e i tavoli, poi realizzati in metallo processato con determinati tipi di galvanica e smerigliato a mano per ottenere un effetto sensoriale coerente con il carattere del luogo.

È il nostro modus operandi nell’approcciare il territorio: non generare meccanismi impositivi”, riflette il progettista, aggiungendo: “Da molti anni provo a fare da ponte tra Milano e la Sud Corea come promotore di iniziative che sono legate ad architetti e designer locali.

DropCity ne è un grande volano. Ma la scena coreana merita: è davvero unica per l’Asia”.