Qual è stato l’aspetto più importante nella progettazione di Under the Surface?
Emiliano Ponzi: “Credo che sia il processo condiviso con Accurat e Design Group Italia per costruire una visione organica di ogni fase di progettazione.
Al netto della policy del Salone, abbiamo voluto occuparci a fondo della scelta dei materiali, del loro smaltimento, della possibilità di riciclare e riutilizzare tutte le parti solide di Under the surface.
Abbiamo scelto di costruire la struttura in EPS, un polimero rigido e molto leggero, facilmente smaltibile. Abbiamo individuato i partner che si occuperanno di dismettere l’installazione e indirizzare il materiale alla produzione di pannelli acustici per il settore edilizio.
Un’altra parte fondamentale del racconto di progetto è la sua coralità. È stato un lavoro di team e la sinergia è stata un motore di novità in un contesto democratico, collaborativo. Ogni opinione è stata ascoltata e valutata, per fare le migliori scelte possibili.
Infine c’è una mia valutazione personale sulla collaborazione con il Salone del Mobile. Un tono di voce reciprocamente serio e rispettoso che non può prescindere da una solida relazione umana”.
Dall’illustrazione al progetto di un’installazione tridimensionale. Quali difficoltà si incontrano nel cambio di scala?
Emiliano Ponzi: "Immaginare l’output finale di un progetto tridimensionale è molto difficile. Il salto di media corrisponde a un salto di immaginazione e di tolleranza. Under the surface sono 400 metri quadrati su cui non abbiamo controllo del livello di inquinamento acustico, non sappiamo come verrà percepito lo sfondo musicale realizzato da Accurat partendo dalla ritmizzazione dei dati. E non c’è controllo nemmeno sull’illuminazione circostante, sulle trasparenze e la permeabilità cromatica dell’intera struttura, che sarà circondata da stand.
Quindi il mio è stato un ruolo trasversale di art direction, per seguire e coordinare il lavoro di tutte le professionalità coinvolte.
C’è stato anche un aspetto molto fisico, a cui non sono abituato: abbiamo visto i prototipi, che ci hanno aiutato a fare delle valutazioni formali insieme a tecnici e addetti alle luci con una competenza verticale su tutti gli aspetti progettuali. È la parte eccitante di un grande progetto di gruppo, un antidoto contro la noia, la mia peggior paura”.