Al FuoriSalone presenta una mostra sulla quarantennale relazione con Marc Newson. A cosa serve raccontare la storia del design oggi?
Giulio Cappellini: “È fondamentale. Perché – tornando al tema giovani – un designer che non conosce gli archetipi del passato o che li vede semplicemente come forme senza coglierne la portata rivoluzionaria tecnica e a livello di materiali, manifattura e significato, non sarà mai in grado di creare il nuovo.
Raccontare la storia degli oggetti che hanno fatto grande il design e anche quello che sta dietro – le relazioni tra le persone – non è un’operazione nostalgia ma l’esatto opposto: un avamposto per guardare al futuro.”
Cosa vedremo alla mostra su Marc Newson?
Giulio Cappellini: “L’abbiamo organizzata in occasione del lancio del libro di Taschen sui 40 anni di attività di Marc. Si tratta di un percorso che racconta per tappe la nostra storia: attraverso i prodotti ma anche i nostri incontri perché tra di noi – come del resto anche con gli altri designer che sono cresciuti con me, Tom Dixon, Jasper Morrison etc – c’è una vera amicizia, cementata negli anni. E il design, alla fine, nasce proprio dalle affinità elettive tra le persone. Anche di questo parlerà la mostra”.
Lei ha curato anche due installazioni per INTERNI Cross Vision. Ce le racconta?
Giulio Cappellini: “All’Università degli Studi, le colonne del porticato del Cortile d’Onore saranno rivestite di carte da parati da esterni con decorazioni – quadretti, losanghe – che riprendono quelli tipici delle case milanesi degli anni Trenta: resistenti all’acqua sono state realizzate artigianalmente da ragazzi di San Patrignano e mostrano la maestria artigianale acquisita durante il percorso di recupero.
A Eataly, invece, ho realizzato un’installazione che cade dall’alto nell’atrio di ingresso: una serie di pannelli in carta di riso creano un ambiente visivamente pacifico nel cuore dello store mentre teche di vetro, che sembrano fluttuare in aria, mettono in mostra elementi di cibo come vino, legumi, pasta, olio. L’ho chiamata Food, Design, Happiness perché l’ho pensata come un’ode al cibo come fonte di gioia e tranquillità, nella sua immagine più essenziale, colorata, diversa”.