Con un sospiro è finita anche questa Design Week 2023: è il momento di tentare una sintesi sulle direzioni prese dal progetto

“L’estetica è una funzione”. Cito Francesco Pace (aka Tellurico), che a sua volta cita il sociologo Bruno Latour.

Ci incontriamo a Take care! Of your mind, body and environment, la mostra che ha curato per Isola Design District alla Stecca03. Una piccola raccolta di progetti intorno al tema del 'avere cura' che richiedono una visita approfondita, l’ascolto di spiegazioni.

Attenzione: non narrazione, ma un salto a piè pari nel metaprogetto o, per essere più chiari, nel senso e nel contesto in cui i progetti nascono.

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L’estetica è una funzione

Quindi: l’estetica è una funzione. Circondarci di cose sensatamente belle, di esperienze artistiche o creative, è un atto di cura verso se stessi e gli altri.

Non lo dicono solo Latour e Tellurico, ma anche una disciplina relativamente recente come la neuroestetica che, dati scientifici alla mano, spiega perché frequentare e usare bellezza allunga la vita.

A fronte di questo, forse è più corretto domandarsi dove sta andando la specie umana, di cui il design è certamente una sintesi materiale eccellente.

Sulla strada, di nuovo

Abbiamo ricominciato a muoverci. Non è poco: dopo un lungo periodo di prudente e scarsa mobilità affollano le strade, i designer progettano molto e le aziende investono in nuovi prodotti e in una quantità impressionante di eventi.

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Era così anche prima della pandemia, tanto che il sistema FuoriSalone cominciava a domandarsi come gestire razionalizzare i flussi.

Ma ora c’è un'energia diversa: la fame di incontri e di esercizi estetici ha raggiunto un picco.

Non è il FuoriSalone del 2019, è una caccia all’esperienza, all’incontro, alla produzione di pensiero. Adesso c’è un unico problema: rallentare.

I giovani designer indicano la direzione

I designer millennial ci riescono e cavalcano un’onda diversa da quella a cui siamo abituati.

Italy: a new collective landscape, la mostra di Angela Rui all’ADI Design Museum dedicata ai giovani progettisti lo dichiara a gran voce. Il nuovo design si fa molte domande, non cerca risposte univoche, sa stare nella possibilità e, soprattutto, si rivolge alla collettività.

Ne escono (tanti) progetti di gioco, di condivisione, di inclusione di ogni specie vivente.

Il design propone di fermarsi a ragionare, a contemplare la realtà così come mentre si compie un inevitabile cambiamento. È il tentativo di consegnare a tutti strumenti nuovi, non un nuovo mondo.

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Il fil rouge del design storico

Ancora memoria, trattata come un tesoro, alla mostra Cassina Echoes: 50 years of I Maestri, curata da Patricia Urquiola e Federica Sala.

A Palazzo Broggi in un caveau in disuso, una storia di design raccontata magistralmente, un percorso rosso e sotterraneo che conduce nel luogo fisico della memoria.

Le scocche, le strutture, i componenti, i prototipi e i pezzi unici appoggiati sui resti di uno spazio archeologico che dice che le cose passano, ma restano.

Il ricordo è un esercizio culturale

La memoria ha una funzione importante e, infatti, nessuno parla di rivoluzione, di fare tabula rasa per ricostruire. È un andare avanti fluido ma, a costo di essere ripetitivi, diverso.

Il grande ritorno di Ingo Maurer ai caselli di Porta Nuova è un’esperienza significativa e, in un certo senso, storica.

Un brand che sembrava fatto da un uomo dimostra invece che il pensiero progettuale condiviso funziona in nome della poesia, dell’intervento minimo e ironico, della tecnologia usata per scopi definitivamente umani.

Bello, impeccabile l’allestimento esterno dei caselli, fatto di poco: luce naturale e luce artificiale, un soffitto open air riflettente, mosso dal vento, mutevole come la luminosità nel passaggio dal giorno alla notte.

E se qualcuno si aspettava nostalgia, niente da fare: Ingo Maurer (anche dopo la scomparsa del grande Maestro, grazie al team interno che lavorava al suo fianco da sempre, e ora grazie al supporto e il knowhow di Foscarini) va avanti, presenta nuove lampade (belle come sempre) e dichiara che l’eredità culturale è più forte del singolo individuo.

La bellezza è anche paura

In sintesi: il design va dove andiamo noi. Ci segue e ci anticipa, con un’intelligenza misurata, legata alla produzione, alla cultura materiale. E alla bellezza, che per i greci era anche terrore.

Anniina Koivu ha lanciato una ricognizione sugli oggetti che servono a sopravvivere. Niente di romantico: qui siamo nell’ambito dei Survivalists, movimento diffuso e underground dei Prepper: coloro che sono pronti ad affrontare il collasso.

Un tema vecchio e nuovissimo, che spazia da intelligenti strumenti di design anonimo alla tecnologia, dal lavoro dei designer sui survival kit alla produzione tecnica.

The Prepper’s Pantry, la dispensa del survivalista, è un monito angosciante ma anche una grande presa di coscienza sulla fallibilità e la fragilità umana.

La crisi come nessuno l’ha mai raccontata, per scuotere non gli animi ma un sano istinto alla vita tornando alle necessità primarie: mangiare, bere, orientarsi, comunicare.