Anniina Koivu lancia a Dropcity una ricerca sugli oggetti che salvano la vita. Diventerà una mostra al Mudac di Losanna nel 2024

Una spiegazione sul titolo della mostra Prepper’s Pantry a Drop City (via Sammartini 60).

Prepper è la definizione di un movimento mondiale di persone che si dichiarano 'pronte' a sopravvivere in caso di catastrofe. In italiano li chiamiamo stranamente 'survivalisti', mutuando ancora una volta un termine inglese. Pantry invece è la dispensa, lo sgabuzzino.

Quindi Prepper’s Pantry, da un’idea di Anniina Koivu, è un'indagine sugli oggetti che salvano la vita. La cosa magnifica è che la curatrice riesce a stare sul confine fra una distaccata ironia e una serissima ricerca curatoriale.

I due punti di vista della sopravvivenza

Spiega Anniina Koivu: “Esistono due punti di vista sul tema Prepper. Il primo riguarda le istituzioni: ci sono programmi dettagliati della Croce Rossa, ad esempio, su come reagire a ogni tipo di crisi pandemica, biologica o bellica. Sono precisi, utili e pubblici.

Poi c’è un punto di vista più underground, che copre un grande ventaglio di sotto comunità ideologiche.

Entrambi i mondi sono da esplorare: il tema è attuale e cela un’infinità quantità di prodotti. La piccola mostra a Dropcity è solo l’inizio di una ricerca che ci occuperà per i prossimi diciotto mesi e risulterà in un’analisi completa durante un’esposizione al Mudac di Losanna nell’autunno del 2024”.

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Oggetti comuni, oggetti di design, strumenti tecnici

Il layout di Prepper’s Pantry è curato da Camille Blin, Anthony Guex et Christian Spiess ed è una rielaborazione essenziale di un container, la forma più semplice di rifugio (a patto che sia sepolto qualche metro sotto terra).

All’esterno in una serie di teche i reperti storici del movimento Survivalist, a partire da una copia di The Whole Earth Catalogue, la bibbia pratica degli strumenti per survivalist pubblicata fino al 1972.

All’interno invece, divisi per funzioni, gli strumenti.

Fra gli altri: le pastiglie per sanificare l’acqua, la barretta di micro lingotti d’oro, un contatore geiger minimale, il survival kit di Nendo, il Dizionario dei gesti di Bruno Munari, le calze termiche finlandesi, la sirena a manovella degli anni Settanta, i caschi pieghevoli giapponesi, i gilet da guerriglia e i copricapo mimetici, le taniche collapsible per l’acqua.

Una raccolta ampia di oggetti, di design e non, selezionati per l’intelligenza progettuale e funzionale.

Perché esistono i prepper?

Il tema richiama immagini un po’ originali: persone che costruiscono bunker antiatomici in cui stipano materiale fondamentale in caso di attacco nucleare o biologico, epidemia, carestia, crash tecnologico o ecologico, guerra.

Se vi state chiedendo: “Ma perché dovrebbe accadere qualcosa di simile e perché essere pronti?”, non avete capito la quantità di crisi che stiamo vivendo.

Né quanto è interessante pensare come un survivalista, perché considerata la velocità con cui corriamo verso l’infinito e oltre il punto di non ritorno, in effetti il problema principale sembra quello di aver perso uno degli istinti principe dell’evoluzione: quello di sopravvivenza.

Avete una Bug out bag ?

Andri Magnason, autore de Il tempo e l’acqua, una delle voci più forti dell’ambientalismo mondiale, lo dice molto chiaramente: ci siamo dimenticati del nostro istinto di sopravvivenza.

Ci siamo dimenticati cosa significa sentire davvero l’ambiente e decidere se è buono o cattivo per noi. I survivalisti no.

Sentono che qualcosa non va e, soprattutto, non si fidano minimamente della spensieratezza altrui. E si preparano una Bug out bag, la borsa per uscire da casa in dieci secondi e raggiungere un luogo sicuro. Per sopravvivere.