Con Aspen, the Italian Manifesto, a Dropcity si rilancia l’happening come performance di idee: ne parla la curatrice Francesca Picchi

Tra le molte riflessioni in campo a Dropcity, ce n’è una particolarmente imperdibile: Aspen, the Italian Manifesto a cura di Francesca Picchi con un progetto di Studio Ossidiana.

I Magazzini Raccordati in Via Sammartini sono quel ‘luogo comune’ dove, anche quest’anno, si incontrano architetti e progettisti di tutto il mondo pronti a partecipare alla costruzione di DropCity (il progetto per il primo centro per l’architettura e il design di Milano nato da un’idea di Andrea Caputo, insieme a Nhood).

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Sotto il cappello ‘Dropcity Convention 2023’ — il progetto vincitore dell’avviso pubblico ‘Festival Architettura II edizione’, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura —, per la settimana del design l’evento ospita un ricco palinsesto di mostre, installazioni e conferenze, prima anticipazione di ciò che la struttura inizierà a realizzare già nel 2024.

Perché Aspen, the Italian Manifesto è da vedere

Sarà per via di ‘Italy: a new collettive landscape’, la mostra del design under 35 curata da Angela Rui all’ADI Design Museum, che fa esplicito riferimento a ‘Italy: The New Domestic Landscape’, curata da Emilio Ambasz al MoMA di New York nel 1972, ma si coglie nell’aria come un senso non tanto di nostalgia, quanto di riscatto: un po’ come se l’intera comunità del design italiano sentisse la necessità di ribadite al mondo che l’Italia è il punto di riferimento di questa disciplina.

Cos’è Aspen, the Italian Manifesto

Al tunnel 142, domenica 16 aprile alle ore 16.00 verrà inaugurata ‘Aspen, the Italian Manifesto’, l’installazione curata da Francesca Picchi e progettata da Studio Ossidiana di Rotterdam.

Ispirato al mitico congresso organizzato ad Aspen (Colorado) nel 1989 dall’international Design Conference, l’evento oggi torna al pubblico: moderato da Michele Lupi il dialogo vedrà coinvolti protagonisti e testimoni di allora tra i quali Antonio Colombo, Alberto Saibene, Francesco Dondina, Franco Raggi insieme ad Andrea Zagato, Elena Dalla Piana, Giovanna Castiglioni, Giovanni Cutolo, Giulio Iacchetti.

The new Italian idea

“Quella del 1989 era una seconda puntata”, racconta Francesca Picchi, protagonista di oggi e di ieri. Ma anche docente universitaria, fine intellettuale, coltissima, e madre di tutti i curatori di design, “la prima, del 1981 dal titolo ‘The New Italian Idea’, era molto in anticipo rispetto all’attualità dell’epoca.

L’evento di Aspen, nato da un’idea del magazine Domus insieme a Olivetti, voleva fare il punto sul sistema design italiano proprio nel momento in cui l’Italia era protagonista sulla scena internazionale.

Non a caso l’appuntamento coinvolse chef e personaggi del mondo del fashion, proprio a testimonianza di un allargamento significativo del linguaggio”, ricorda Francesca, invitata come studente del Politecnico.

Un convegno sotto una tenda

“Cera un’organizzazione straordinaria, a ciascuno di noi era assegnata una casa”.

L’immaginario, almeno il mio, corre a quella piccola ed esclusiva località sciistica del Colorado pronta ad accogliere in un luglio estivo di fine anni Ottanta, alcuni dei più visionari designer italiani: Achille Castiglioni, Ettore Sottsass, Andrea Branzi, Mario Bellini, Gae Aulenti, Italo Lupi.

“Tra loro anche un giovanissimo Steve Jobs”, ricorda.

“Era una dimensione molto conviviale. Ti capitava di andare a cena e di aspettare Achille (ndr Castiglioni), perso in qualche supermercato in cerca di oggetti anonimi. Poi c’era Italo Lupi, Ettore Sottsass, diciamo che la dimensione teatrale era molto presente”, non solo perché il convegno si svolgeva sotto una tenda disegnata da Eero Saarinen (modello rivisitato a Milano da Studio Ossidiana),

Costruire le idee, ma in modo non definitivo

“Ma perché, citando Sottsass, ‘Gli italiani hanno in testa il modello della commedia dell’arte’, come a dire che si improvvisava”. La scelta di un’architettura estemporanea quindi favoriva la dinamica di relazione: “La tenda è il punto di partenza. Perché quel tipo di struttura, libera, non definitiva, consentiva di far accadere le cose in maniera spontanea. Ed è proprio così che andò.

Oggi insieme ad Andrea Caputo, abbiamo deciso di evocare quello storico momento non solo per storicizzarlo, recuperare tutto il materiale composto principalmente paesaggi sonori (ndr registrazioni) e archiviarlo qui, per il centro”.

L’happening come performance di idee

“Lo scopo è anche provare a mettere in discussione il modo tradizionale di convention”, continua Picchi. “E tornare alla modalità dell’happening come performance di idee. Per me questo aspetto delle idee è importante: allora c’era una dimensione sperimentale pazzesca”. Certo oggi i tempi sono diversi...

“Per esempio, ci siamo innamorati della parola ‘radicale’, ma attenzione. Andrea Branzi dice: ‘c’è un’attitudine nel design italiano che è quella di andare al grado zero’.

Ovvero è radicale chi mette tutto in discussione, abbatte le convenzioni e torna all’origine. Bene: questa attitudine progettuale non è di tutti. Prestiamo quindi più attenzione all’uso dei termini”, e studiamo.

Per questo è importante recuperare l’esperienza di Aspen: mettere in circolo l’energia ci rende liberi. “Achille Castiglioni con una giovanissima Paola Antonelli, ma anche Ettore Sottsass che introduce Elea ed Emilio Ambasz che torna alle radici del craft, parlavano di design attraverso il pensiero e le idee.

Ovvero raccontavano tutta quella parte che c’è prima di mettere a fuoco i punti del progetto: la ricerca, l’esplorazione, la tensione verso l’ignoto. Ed è proprio questo che ad Aspen è stato condiviso, quella parte che cresce l’idea, l’accompagna per restituircela progetto”.

Che bellissimo racconto.

“Le idee che hanno animato i progetti dei maestri di allora, possono nutrire quelli di domani”, chiude Francesca Picchi. “Aspen ci insegna questo: che la dimensione delle idee è senza tempo”, ed è l’eredità da preservare e di cui fare tesoro.