Abbiamo fatto qualcosa di veramente diverso? La design week 2022 dimostra che qualcosa è cambiato? Una riflessione, anzitempo, sui pensieri che hanno animato il FuoriSalone

Il FuoriSalone è tornato ad essere quello di una volta. Sette giorni (più un paio di preview) in cui si celebra un’appassionante e immersiva design extravaganza.

Viene però il momento in cui ci si fa una domanda, importante quanto abusata: abbiamo imparato qualcosa in questi due anni e mezzo di pausa? Sì, nonostante tutto.

Perché se in superficie sembra una rinascita senza incertezze, a un secondo sguardo è evidente che la Design Week è cambiata. Perchè noi siamo cambiati.

Siamo ibridi e ci piace

Questo FuoriSalone 2022 è servito anche per fare pace con l’artificio tecnologico. Viviamo felicemente immersi in una realtà che si mischia continuamente con il digitale, in un mondo aumentato da informazioni e rappresentazioni create con strumenti tecnologici e intelligenze artificiali.  I computer progettano, propongono soluzioni formali e funzionali.

I brand comunicano con le immagini virtuali. E senza la tecnologia è difficile capire come arrivare dall’evento A all’installazione B nel minor tempo possibile.

O trovarci in un bosco virtuale dentro a un teatro datato 1798. L’elemento umano, che significa contatto, incontro, relazione, ci sorprende ancora con la coincidenza e il caso. Ed è la parte che davvero ci mancava della Design Week.

Non abbiamo più bisogno di autori

È un’emergenza culturale: non si progetta nulla senza mettere insieme le tante teste capaci di contenere la complessità del presente. Il design italiano, inteso come sistema di progettisti e aziende, si è nutrito di autorialità.

Il designer era egocentrico, le archistar facevano notizia, i brand erano felici di nutrire la narrazione della celebrità. Ma non è più così. Durante questo FuoriSalone è diventato chiaro che progettare significa soprattutto dialogare con saperi altri, anche lontani.

La tecnologia, la scienza. E tutte le discipline satelliti, nascenti, che cercano dove nessuno ancora è andato.

L’impresa contemporanea non serve (solo) a fare business

Ci sono molti nuovi brand al FuoriSalone 2022. E hanno (quasi) tutti un senso. Nascono da volontà focalizzate, capaci di imprese non solo commerciali, ma anche umane. Imprese che si organizzano nel proprio territorio, riportando alla luce pratiche tradizionali ma sensate e sostenibili.

Oppure imprese che si occupano di microeconomie, che sollecitano la vivacità degli artigiani, cercando realtà produttive ignorate, in pericolo, disorganizzate per far fronte alla velocità del cambiamento.

O ancora identità produttive che si delineano attraverso percorsi basati sulle relazioni, sull’entusiasmo per il lavoro fatto a regola d’arte e intrinsecamente sostenibile.

O ancora imprese giovani che crescono, hanno un successo che viene dal passaparola dei social e poi si scoprono capaci, coraggiose, competenti. La domanda ora è: cosa faranno invece i grandi brand per mettersi in pari?

Dal reale al virtuale e ritorno

Aspettavamo gli autori di NFT al varco: saranno capaci di mettere i piedi per terra e un prodotto vero in catalogo? La risposta è: sì, abbiamo capito che sono capaci, competenti e portatori di contenuti originali (persino radicali).

Non ci sarebbe molto altro da aggiungere, se non che tutto questo stava già accadendo e che forse non ce ne eravamo accorti. Molti progetti di designer esordienti negli ultimi anni partivano da ragionamenti sul digitale e sui social media.

Le tecnologie hanno cambiato la creatività, hanno introdotto nuovi temi, costruito nuovi problemi a cui trovare nuove soluzioni. Che spesso sono altrettanto tecnologiche e digitali.

Abbiamo sete di natura

Il sospetto c'era già quando l’anno scorso l’outdoor è diventato 'the new black'. Pochi brand si sono trattenuti dal proporre versioni resistenti agli agenti atmosferici di collezioni iconiche o veri e propri salotti da giardino.

Ma sembrava davvero solo una questione di marketing. E invece… Abbiamo sete di verde. Mettiamo piante ovunque, le installazioni fioriscono.

È bello, anche se ogni tanto sembra un incubo botanico invece che la Design Week. Ma risponde a un desiderio autentico e, soprattutto, all'improvvisa paura di perdere tutto. Siamo più consapevoli e quindi più fragili.

La pervasività di fiori, germogli, spighe di grano e affini serve a rassicurare. Un balsamo, in attesa di riacquistare una relazione più equilibrata con la natura vera.