La dimensione sonora degli spazi viene spesso ignorata in architettura. O meglio: quando si parla di ambienti non specificamente dedicati all’ascolto musicale, il modo in cui propagare, dirigere, modulare il suono – e costruire allo stesso tempo il suo opposto, il silenzio – è il più delle volte pensato ex post, dopo la fine della progettazione dell’involucro e addirittura degli interior. Come se si trattasse di un orpello.
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Progettare il suono è un tema umanistico
“Vige l’idea che il suono sia un aspetto tecnico, da risolvere quando un ambiente è già definito, utilizzando tecnologie per amplificare o attutire musica, voci, rumori: speaker, materiali fonoassorbenti, domotica. Invece è prettamente umanistico e di design perché ha un impatto fondamentale sulla qualità dell’esperienza”, spiega Jacopo Gonzato.
Architetto di formazione e artista, Gonzato ha esposto al FuoriSalone, da Rossana Orlandi, le sue Geometrie Sonore, strutture in legno massello che vibrano grazie a un mini-attuatore, un piccolissimo dispositivo elettrico. Questo movimento impercettibile “fa entrare la struttura in risonanza e le fa riprodurre il suono”, spiega.
La modalità è ancestrale, importata dal mondo degli strumenti musicali a cassa. L’effetto, però, in virtù delle geometrie e del gioco tra pieni, vuoti e spessori progettati da Gonzato, è sorprendente. Posizionando la testa al centro della scultura e spostandola leggermente, si percepisce la musica con una diversa intensità e qualità e ci si trova a cercarne con lo sguardo la provenienza.
“La forma organizza il suono a livello spaziale: cioè quello che vedo corrisponde alla forma da cui proviene il suono. Quello che disegno, progettando questi oggetti sonori, è il viaggio del suono nello spazio”.