Il primo design brand di oggetti per il consumo di Cannabis esiste e si chiama Weed'd: non è una provocazione

Weed’d è un nuovo brand di oggetti per il consumo della cannabis.

Inutile girarci intorno: per quanto l’argomento sia ancora considerato delicato, anche il made in Italy ha i suoi bong di design da oggi in poi. Come ne esistono già in Canada, in dieci stati americani, in Spagna. E in tutti quei Paesi in cui il consumo ricreativo e medicinale della mariuana è stato sostanzialmente legalizzato o fortemente depenalizzato.

Dopo il fallimento del referendum sulla legalizzazione (la corte Costituzionale l’ha recentemente rigettato), in Italia la nascita di Weed’d potrebbe sembrare una provocazione.

La Cannabis? Una sottocultura ignorata

“E invece vuole essere un modo per cambiare la percezione di una delle sottoculture più vessate del pianeta: il consumo di droghe leggere è ancora legato a uno strano immaginario di sballo e perdizione, ma nei Paesi dove la cannabis è legale o tollerata è uno dei tanti modi per rilassarsi e uscire dalla frenesia”, spiega Simone Bonanni, design director del brand (e stella nascente del progetto italiano).

“L’idea è nata scherzando, ma ha preso rapidamente forma. Non è stato difficile convincere Maddalena Casadei e Valerio Sommella a partecipare al progetto”. L’argomento è interessante e la tipologia totalmente inesplorata in Italia.

All’estero invece esistono già diversi brand destinati a un pubblico hi-end. Spesso associati anche alla vendita on line di Cannabis Sativa. Inimmaginabile nel nostro Paese, dove è permesso il commercio solo di CBD. Che comunque si può serenamente fumare con i bong di design di Weed’d.

Un bong di design per cambiare il mondo

La collezione di tre bong è un esperimento tipologico. Perché l’idea lla base di Weed’d è il made in Italy: buon design, produzione artigianale italiana, materiali intelligenti. “Il design ha spesso attivato cambiamente sostanziali nello stile di vita e nei valori culturali, persino in un Paese conservatore come il nostro. Anzi, è stato un vero e proprio motore di modernità. Credo che possa avere questo ruolo, nel suo piccolo, anche in questo caso” riflette Simone Bonanni.

“Siamo partiti dal bong perchè è uno degli strumenti più usati e funzionali, ma abbiamo intenzione di andare avanti”. Il bong è sostanzialmente una pipa ad acqua che raffredda il fumo, evita di doversi cimentare in complicate sigarette artigianali ed è semplice da usare. Ma esistono anche altri accessori che forse in futuro entreranno in catalogo.

I brand stranieri propongono grinder per macinare foglie e fiori, pipe di vetro e di legno, posacenere progettati apposta per le sigarette self made, ciotole per mescolare tabacco e erba. Il brand più hype? Edition, un cannabis dispensatory canadese che, oltre a vendere marijuana on line, ha in catalogo accessori chic e gadget per appassionati (dalle felpe in su).

Il made in Italy della Cannabis

“A un primo test sembra che la collezione sia ben accolta sia in Italia che all’estero” commenta Bonanni. Un regalo originale, in effetti. Ma anche un bell’oggetto da tenere sulla libreria. L’ispirazione per i tre designer è innanzi tutto funzionale a un target sofisticato: una cartella colori ben pensata e tre varianti da cui emergono personalità progettuali distinte.

“Sono in un periodo un brutale” scherza Simone Bonanni. Il suo bong è forse quello più “difficile”, ma la scelta di un’estetica industrial è dichiarata. Più sinuoso e essenziale il bong di Valerio Sommella. Giocato su geometrie equilibrate e morbide quello di Maddalena Casadei.

“Ho dato confini dimensionali molto semplici: il diametro dei cilindri e le misure in altezza. Sono  servite per creare un family feeling e per non complicare la progettazione del packaging”.

Memorie radical per i primi bong made in Italy

Il risultato è radical. Nel senso che è un lavoro che sarebbe potuto nascere da una ricerca provocatoria di Memphis e dall’immaginario scanzonato e curioso dei suoi designer. “Forse sono i colori, il materiale…”, ipotizza Simone Bonanni. O forse è proprio un tema che sarebbe piaciuto ai maestri della rivoluzione progettuale e al loro istinto sovversivo.

Ma simone Bonanni è un progettista istintivo, cresciuto alla scuola di Marcel Wanders e sufficientemente coraggioso per misurarsi con una design direction che si dà il compito, fra le altre cose, di cambiare il mondo.

“Perché no? È un tema interessante, nuovo. Si è creata una lista di attesa di colleghi che vogliono lavorare per Weed’d. Più per il gusto di partecipare a un progetto di libertà che per interessi professionali”. Anche se, tutto sommato, essere uno dei primi designer italiani di bong non è per niente un dettaglio trascurabile, nei futuri manuali di storia del design.