Scegliere l’etica può fare la differenza in termini di sostenibilità? Sì, l’impegno individuale del designer conta molto, secondo Paolo Ulian

Se esiste un padre del design sostenibile in Italia è Paolo Ulian. Protagonista della nascita dell’ecodesign negli anni Novanta, allievo di Enzo Mari, unico italiano a far parte del celebre collettivo olandese Droog Design.

Ulian sembra scomparire, di tanto in tanto, ma poi rieccolo con l’ennesimo prodotto bello, poetico e intelligente. Le sue assenze sono sempre dettate dal bisogno (lui la definisce incapacità) di lavorare a progetti sensati, soluzioni razionali nell’uso dei materiali e una forma guidata dal processo, intrinsecamente bella perché pulita. Quindi secondo Ulian il designer è il riusltato di scelte morali e etiche

Un atteggiamento utile a far fare piccoli passi verso la transizione alle industrie.

Paolo Ulian: “Dagli anni Novanta faccio sempre la stessa cosa, partendo dalla medesima base progettuale che, nel mio caso, è decisamente innata. Ho cominciato in un mondo in cui il tema dell’ecologia era una delle ultime preoccupazioni del mondo produttivo. Ed è stata probabilmente la mia educazione ad accendere un interesse naturale per il tema.

Mia madre era un’erborista, una donna con una mentalità spontaneamente anti spreco: trovava sempre il modo di riusare tutto.

Ho ancora delle immagini delle sue pantofole riparate più e più volte, fino a diventare degli oggetti completamenti diversi ma del tutto funzionali.

Quello che è cambiato, oltre alla mentalità dei produttori e più in generale delle persone, è la mia autorevolezza, la forza che posso esercitare grazie a un impegno coerente in un’unica direzione.

Nelle mie collaborazioni con Bufalini e antoniolupi faccio soprattutto ricerca, in grande libertà, su nicchie di prodotti in cui sperimentiamo nuove tecniche produttive volte al risparmio delle risorse. Non si tratta quasi mai di pezzi che entrano nel mercato mainstream perché non sono economicamente competitivi. Ma servono a diffondere l’idea che ci siano alternative percorribili ai sistemi di produzione tradizionali”.

Quanto conta il mindset industriale?

Paolo Ulian: “Da anni le mie conversazioni all’interno delle aziende girano intorno all’invito e alla possibilità di aprirsi a modelli economici diversi. È l’unica vera soluzione. Ma sembra un’opzione impossibile, come se il sistema a cui siamo abituati e in cui muoviamo da anni fosse immutabile e eterno.

In realtà non è poi da molto tempo che pratichiamo il capitalismo e le pratiche abituali del passato erano incentrate a una naturale creatività volta alla manutenzione degli oggetti, alla loro buona fabbricazione e sostanzialmente al possesso di poche cose utili e ben fatte, che venivano riparate all’infinito.

Ma rimango dell’idea che ogni nicchia di sperimentazione industriale è un atto di coraggio, un seme per il futuro. Sento che il mio lavoro è importante per le aziende, che sono disposte a investire, provare”.

Usare il progetto per lasciarsi condurre verso la sostenibilità

Paolo Ulian: “Seguo la logica del risparmio del materiale, partendo dal marmo in lastra e non in blocco. L’obiettivo è ricavare oggetti tridimensionali da lastre bidimensionali per moltiplicare la materia.

L’estetica cambia completamente, è dettata da vincoli molto stretti ed è la logica della lavorazione che ti porta a trovare la forma esatta. Mi piace pensare che il valore etico sia a monte del valore estetico, che ne è una conseguenza.

Una bellezza data da un percorso fuori dall’ordinario ha origine nel percorso stesso, parla in modo limpido dell’etica che ha guidato il lavoro e del suo risultato formale, inevitabilmente interessante. I prodotti per antoniolupi sono frutto di una logica totalmente anti commerciale e partono tutti dalla stessa matrice. Mettere la creatività a servizio del risparmiodellerisorse ha questa conseguenza naturale e da una lastra di marmo arrivi a ricavare tre lavandini”.

Un mindset critico e aperto nell’uso del materiale

Paolo Ulian: “Malgrado lo svuotamento delle cave e l’impronta brutale che l’escavazione lascia nel paesaggio naturale, il marmo è una materia viva, naturale, che non lascia traccia e ha una durata eterna.

Nel mio modo di pensare è meglio un lavabo in marmo che mille lavandini in resina, perché le materie sintetiche, come ben sappiamo, sono un problema enorme per gli esseri umani e la natura.

Eppure alle aziende piacciono, nutrono una forma di commercio ispirata al consumo che sembra insaziabile e, quindi, è convincente dal punto di vista del business. Ma a me non interessa questa cornice produttiva, la realtà va del tutto contro la mia natura fino a rendermi infelice. È impossibile lavorare abbracciando un atteggiamento così servile nei confronti delle aziende, non porta a niente di buono”.

I segni del cambiamento

Paolo Ulian: “La buona notizia è che è evidente che l’industria sta cambiando. Dieci anni fa c’era un disinteresse, quando non un’opposizione netta e impenetrabile, alla possibilità di cambiare direzione. L’unico principio accettato era quello della crescita.

Adesso invece è possibile aprirsi al dialogo e proporre pratiche industriali diverse.

C’è chi lo fa con convinzione, investendo nella sistematizzazione di nuovi percorso produttivi. E c’è chi lo fa con la ricerca e la sperimentazione, cercando un senso diverso alle scelte industriali o, perlomeno, proponendo delle alternative.

Credo che in questo contesto le scelte etiche dei designer abbiano un peso enorme: se si sta saldi coi piedi per terra e si persegue la propria idea, si riesce a mantenere una direzione costruttiva. Un atteggiamento che sostanzialmente si traduce in un percorso di maggiore serenità”.