Ho l’impressione che l’etichetta di ‘direttore artistico’ ti stia un po’ stretta. Più in generale, mi viene da dire che oggi inevitabilmente chi progetta per un’azienda, a tutti i livelli, non può non progettare anche il mercato, la distribuzione, un nuovo pubblico.
Dipende cosa si intende per direzione artistica. Nel nostro mondo purtroppo è intesa come un’occupazione militare di tutti i ruoli creativi all’interno di un’azienda. Per me significa invece circondarsi di intelligenze progettuali altre da sé per essere pronti e preparati alle nuove sfide del mercato. Il tema vero infatti è cercare sempre nuovi interlocutori con cui relazionarsi, un nuovo pubblico per nuovi prodotti.
A mio avviso i brand storici del design si cullano nell’idea di occupare un posto fisso nell’immaginario delle generazioni: ovviamente non è così, e non basta essere presenti nelle collezioni permanenti dei più importanti musei del design per ritenersi al di sopra dei giochi. Dei brand, storici o meno, ci si dimentica in fretta. È necessario quindi rompere il cerchio magico degli addetti ai lavori e del pubblico storico di riferimento (che ti vorrebbe cristallizzato all’interno di un mondo nostalgico e malinconico) per andare incontro alle nuove generazioni con prodotti corretti, calibrati alle nuove esigenze, che offrano lo spunto per raccontare, una volta ottenuto l’ascolto e la giusta attenzione, di cosa è stata capace Danese con i suoi prodotti mitici e iconici.