Di Stefano Caggiano

La rete sta cambiando non solo il modo di trasmettere ma anche di concepire la sostanza culturale. La prima generazione internet di designer, oggi pienamente operativa, è una generazione transnazionale, pulviscolare, dispersa in un melting pot onnivoro costantemente proiettato su un palcoscenico globale, che moltiplica le opportunità ma anche i rischi del fare design.

Fast & Curious

Questa situazione è vissuta con grande entusiasmo dall’ungherese Gábor Kodolányi: “Amo totalmente questa tendenza. Siamo tutti nella stessa ‘nuvola’. Ogni cosa accelera; il processo di design, la produzione, la cooperazione. Le barriere che un tempo limitavano e definivano il lavoro del designer oggi sono scomparse”. Questo stato di stimolazione continua rischia però, secondo il francese Joran Briand, di livellare sensibilità progettuali diverse: “Il fatto che le informazioni e i trend possano essere diffusi istantaneamente su tutto il globo è eccitante. Ma questo fatto genera anche influenze artistiche e risposte simili. Siamo testimoni di un allineamento artistico dovuto al rapido scambio tra ‘influencers’”.

Anche l’italiano Tommaso Caldera teme che “i designer, in modo più o meno conscio, per arrivare ad un consenso il più immediato e ampio possibile levighino quelle differenze e spigolosità che il progetto porta inevitabilmente con sé, e che sono la testimonianza del contesto in cui si è sviluppato”. Ancora più diretto il francese Joran Briand: “Oggi ogni cosa è ‘di design’, dobbiamo resistere a questa pornografia del ‘design’ di ogni cosa. Abbiamo bisogno di un approccio più preciso perché i creativi sono costantemente influenzati da nuove immagini e ciò sta degradando il tempo per la riflessione e la comprensione. Quello che temo è che produttori e industrie si preoccupino di meno del tempo di sviluppo del prodotto, il tempo creativo. La creazione è un lungo processo di semplificazione. Se non abbiamo rispetto di questo tempo del pensiero, il tempo necessario per far ‘depositare’ le idee, finiremo per danneggiare la nostra bellissima disciplina”.

Responsabilità culturale

In effetti, non è facile resistere alle mareggiate dell’ecosistema di rete. Se per il tedesco Sebastian Herkner “internet è uno strumento, ma l’ispirazione viene dalla vita reale, va afferrata con tutti i sensi, deve essere vista, udita, sentita”, per lo svedese David Ericsson la rete “non è solo uno strumento ma un luogo in cui si sviluppano passioni e in cui nuove idee evolvono continuamente”. Mentre Akinori Tagashira, direttore del collettivo giapponese Design Soil della Kobe Design University, sottolinea come “la generazione internet veda il web come una sorta di cervello esterno, e spesso fraintenda l’informazione in rete scambiandola per esperienza reale”.

Rischio reso ancora più sottile (come la lama di un rasoio) dal fatto che “se sbagliamo o scegliamo male i link da seguire finiremo per affondare nel mare dell’informazione”. La rete è allora un’arma (e un mondo) a doppio taglio. Essa può, secondo il guatemalteco Luis Arrivillaga, “connettere persone, modi di pensare, movimenti e culture differenti, mostrando un’esplosione creativa lungo tutti i canali del design. Allo stesso tempo però se il designer ha delle basi sbagliate questa situazione può rivelarsi letale, portandolo a cancellare e dimenticare le sue origini”. E prosegue: “Io credo che il designer abbia una grande responsabilità come creatore di cultura. Può usare differenti strumenti di conoscenza che ha scoperto nel corso della sua carriera, ma ognuno di noi ha il suo personale background che appartiene solo alla tradizione che lo definisce come persona. Si ottengono grandi risultati quando si applica la tradizione locale al pensiero contemporaneo”.

Anche l’olandese Roel Huisman è d’accordo: “A mio avviso la maggior influenza sui giovani designer è data ancora dalla loro educazione e dalle persone da cui sono circondati, che tende ad essere piuttosto locale. Comunque una delle influenze più significative che internet ha avuto sui giovani designer è che l’immagine è diventata più importante del prodotto. Alcune idee tendono ad essere sviluppate per il solo fatto di creare un’immagine che funzioni bene in rete. Il successo si misura in base alla circolazione ‘virale’ dell’immagine invece che all’effettiva innovazione di qualità o alle cifre di vendita. Anche per questo, l’apprezzamento non è mai stato così volatile”.

Una generazione radiale

In rete tutto è più rapido e friabile, i legami genealogici si spezzano e al loro posto si trova una sorta di brodo primordiale elettrico senza radicamento nel passato e, perciò, con una problematica prospezione sul futuro. Secondo Tommaso Caldera “per la generazione dei maestri avevano più importanza il contesto sociale, la città e le persone con cui avveniva la formazione del progettista. Il fatto che oggi designer differenti per provenienza geografica, cultura e formazione possano arrivare agli stessi stimoli e costruirsi uno stesso sottofondo di cultura progettuale ha come immediata conseguenza che tutti si trovano nelle stesse ‘condizioni di partenza’”.

Ecco perché, dice Luis Arrivillaga, la principale differenza tra la generazione internet e quella dei maestri sta nelle diverse forme di curiosità: “la cosa più importante oggi è avere una curiosità globale. Dico globale perché è certamente fondamentale per un designer essere curioso, ma oggi non è più sufficiente, oggi occorre avere una curiosità globale per definirsi come designer contemporaneo”.

Altra decisiva differenza rilevata da Joran Briand è che “le vecchie generazioni agivano in un modello di scambio piramidale o orizzontale tra collaboratori, mentre le nuove generazioni operano all’interno di un network radiale”. Per il designer francese questa vera e propria “generazione della condivisione” vedrà “cambiare lo status del designer; emergeranno gruppi e collettivi, ci sarà meno identità personale. Le collaborazioni cresceranno in maniera esponenziale. I progetti saranno disegnati a più mani”.

Minimalismo mistico

Il linguaggio formale messo in campo da questa generazione ‘radiale’ presenta, nell’insieme, la stessa molteplicità espressiva dell’ambiente di cui si nutre, anche se è forse possibile rinvenire una caratura generazionale comune in una sorta di ‘minimalismo mistico’ della forma che accoglie in sé i due principali driver del contemporaneo: l’evanescenza digitale delle cose da un lato, e il contraccolpo di un loro rinnovato radicamento nella sostenibilità ambientale e cognitiva dall’altro.

Si tratta di oggetti dalla logica onesta, definiti con lo stesso nitore visual di una app. Oggetti che, se da un lato fanno da contrappeso al proliferare effervescente di fantasmi digitali, dall’altro si posizionano nell’ambiente domestico come bacchette da rabdomante, volte a captare, sotto forma di metafore oggettuali, i flussi delle tecnologie immateriali che abitano le nostre città, le nostre case e i nostri corpi, dialogando con uno spazio reso terso e denso dai legami digitali che lo attraversano.

 

Stefano Caggiano

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La Avignon Collection disegnata da Gábor Kodolányi (Studio Codolagni) trasforma forme tradizionali in mobili dalla bellezza semplice ed esatta.
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Il designer ungherese Gábor Kodolányi, fondatore con l’ingegnere Katalin Halász dello Studio Codolagni.
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Il designer italiano Tommaso Caldera.
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La lampada Tull disegnata da Tommaso Caldera e realizzata da Incipitlab, una reinterpretazione della classica lampada da lavoro (foto: Matteo Pastorio).
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Cross, disegnata da Tommaso Caldera per Contempo, un pouf appendiabiti che combina la morbidezza dell’imbottito con la rigidità del legno.
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Il vaso Water Balance, progettato da Risako Matsumoto del collettivo Design Soil, che si sbilancia da un lato man mano che l’acqua nel vaso evapora alleggerendo il contrappeso.
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Il designer francese Joran Briand con una tavola da surf made by Atao e Gob (photo: Cyrille Weiner).
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Akinori Tagashira, direttore del collettivo giapponese Design Soil, della Kobe Design University.
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L’arredo modulare per soggiorno Never Alone di Joran Briand si basa sull’osservazione che l’organizzazione del soggiorno, determinata dalla presenza accentratrice del televisore, si sta oggi modificando in conseguenza della sua sostituzione con i nuovi media digitali interattivi. Made by Perrouin, textile designer Elisabeth Desenneville.
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Una lampada da soffitto e da terra realizzata da David Ericsson e Marcus Berg.
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Il designer svedese David Ericsson dello studio DMOCH.
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Il designer olandese Roel Huisman.
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Un tavolo da scrittura progettato da Roel Huisman, dotato di lampada regolabile e vaso. È realizzato in resina poliestere, frassino, vetro.
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La poltrona della serie Heim disegnata da Sebastian Herkner per Sitzfeldt.
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Il designer tedesco Sebastian Herkner.
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Lo specchio da parete Giulietta di Luis Arrivillaga.