Cosa significa per uno studio italiano fare architettura in Cina? “Prima di tutto, quando lavori in Cina con committenti cinesi devi entrare nelle ‘corde’ del loro modo di vivere e di intendere lo spazio, l’architettura, la natura e il paesaggio. Libero da pregiudizi, con grande umiltà e rispetto dell’identità di un Paese che sente molto forte il senso di appartenenza. Quindi una prima fase è di studio. Bisogna dimenticare molto di ciò che si conosce per poi ricordarlo in una fase successiva. E apprendere cosa la cultura cinese, così diversa dalla nostra, ha da insegnarci, quali sono gli elementi costitutivi dei loro riferimenti.

Una volta assimilati questi si può tentare una mediazione e una congiunzione tra mondi lontani, fino a scoprire che la distanza può essere fonte di arricchimento. Non dimentichiamo che i cinesi hanno vissuto anni di sradicamento culturale e molte delle loro città hanno pedissequamente replicato modelli occidentali. Un’offesa e una violenza, rispetto a una civiltà che ha una storia così seria, antica e profonda”.

Il punto di vista di Marco Casamonti, socio fondatore con Laura Andreini e Giovanni Polazzi nel 1988 dello studio Archea di Firenze, al quale si associa nel 1999 Silvia Fabi, oggi un network di oltre 100 collaboratori, operativi nelle sei sedi di Firenze, Milano, Roma, Pechino, Dubai, San Paolo, propone un’interessante testimonianza in riferimento al progetto del World Ceramic Art City in Cina, a Li Ling, noto centro di produzione di ceramiche artistiche, nella regione sud-orientale di Hunan.

Tre anni di cantiere, inaugurato lo  scorso aprile: oltre 50 mila mq di superficie (costruita ex novo) deputata all’antica tradizione della ceramica cinese, alla sua valorizzazione culturale e promozione anche commerciale. Un luogo immaginifico e immaginario, che è al tempo stesso fabbrica, musei e spazi espositivi, scuola, struttura ricettiva e albergo.

Una micro-città, alla fine, un landmark architettonico di grande impatto e forza comunicativa, spiega Casamonti: “Si compone di 12 edifici modellati in forma di vasi policromi, grandi e piccoli, alti e bassi, ancora in fieri negli interni, che formano il sistema di un micro-contesto urbano. Soltanto in Cina potevamo pensare a una realizzazione di questa portata.

Un importante produttore di materiale ceramico ci ha chiesto di dare forma a un luogo di studio e contemplazione che integra anche alcuni musei (due calligrafici e uno ceramico) dedicati alla municipalità e alla formazione. Gli edifici bassi ospitano infatti scuole e nella parte alta gli appartamenti con giardini circolari interni dove andranno a vivere i maestri ceramisti.

L’edificio alto circa 100 metri accoglie invece la struttura ricettiva, l’albergo con oltre 600 camere, che costituisce l’elemento di riferimento del complesso. Abbiamo elaborato diverse soluzioni prima di definire la composizione di due macro-aree, una pubblica sviluppata attorno alla grande piazza e una produttiva e di vendita. Il gate di ingresso introduce al cuore del sistema, la piazza, per l’appunto, intorno alla quale si dispongono l’albergo e i musei.

Le residenze e i servizi commerciali occupano l’area nord orientale. Tutto è pedonalizzato, circondato da una strada anulare esterna, e sollevato su un podium ipogeo, sotto il quale trovano posto gli spazi comuni e di collegamento tra i diversi edifici. Questa proposta si deve al fatto che a un certo punto i nostri interlocutori – che concepiscono un rapporto diverso con la natura rispetto a noi, a favore di un totale dominio dell’uomo – hanno preso le ruspe e spianato l’area, livellando il profilo collinare dell’area industriale d’insediamento. Tabula rasa.

Così, nella difficoltà di un intervento in un contesto privo di elementi di confronto, abbiamo immaginato un nuovo paesaggio. L’ispirazione è nata dalla suggestione creata da elementi ceramici di uso comune – tazzine, vasi e piatti – disposti su di un tavolo in maniera quasi casuale. Con l’intento di ottenere la massima fluidità spaziale tra le parti, ogni volume ha assunto la forma di un vaso scolpito, caratterizzato da sinuosità, altezze, patterns specifici, che configurano un intreccio di strade interne, percorribili a piedi all’aperto.

È diventato l’aspetto più affascinante: gli spazi esterni disegnano una serie di percorsi stabilenti relazioni di vicinanza, uno spazio urbano al contempo contenitore e contenuto. La copertura del podium, accessibile dalla piazza con ampie scalinate, ospita anche un giardino pubblico pensile”.

Ogni ‘vaso’ ha un involucro a doppia curvatura in acciaio e un nucleo centrale rinforzato in cemento armato che accoglie i collegamenti distributivi e impiantistici verticali. Ciò ha dato vita alla struttura a nido che costituisce la matrice su cui si innestano gli elementi di rivestimento modulari che si avvolgono ad elica sulle superfici”.

Ma, quale tipo di elementi e di materiale sono stati adottati? “Si ritorna alla domanda iniziale, cosa significa fare architettura in Cina” commenta Casamonti. “Abbiamo discusso molto per poter realizzare il rivestimento in materiale ceramico, come scelta di coerenza con lo spirito del luogo. Lo facciamo in alluminio: looks the same, hanno deciso alla fine i committenti. Troppo pesante la ceramica a cento metri di altezza e anche costosa.

Bisogna constatare che nella dimensione urbana dello spazio (non in quella tattile of course), non si coglie alcuna differenza. Sono state utilizzate delle lastre in alluminio policrome di taglio triangolare o circolare a smaltatura speciale, assemblati, come tanti pixel cangianti secondo l’incidenza della luce, per ottenere particolari cromatismi. Nel modo in cui componi i toni ottieni, infatti, un terzo colore ‘fantasma’ e originali texture tridimensionali.

Riconosco che sia difficile comprendere tutto ciò sul nostro piano culturale. Ma per i cinesi l’autenticità della materia come problema non esiste, la copia vale quanto l’originale, non c’è distinzione o autorialità, come non saprai mai chi era l’autore di un tempio o di una pagoda. Di fondamentale importanza è stato invece il lavoro sulle forme dei vasi con contorni sinuosi e curvi che rientrano appieno nella loro tradizione culturale. Si pensi al pattern decorativo di un vestito dell’antica Cina, alle figure dei dragoni, agli elementi che si ‘inseguono’, senza spigoli vivi, sempre concavi o convessi, avvolgenti come il ventre materno e come indica il feng shui. In questo, il progetto è assolutamente cinese, ma anche innovativo.

Nel sistema di vasi comunicanti proposto, abbiamo preso un oggetto e gli abbiamo cambiato scala per abitarci dentro: la densità è diventata un valore, una risorsa che consente un rapporto stretto, un uso del territorio simile a quello che caratterizza la città storica. Sapore rinascimentale. E nel segno di un incontro tra due culture, la cosa più commuovente è stato vedere i bambini dei villaggi vicini in visita alla ‘cattedrale’: chiamati a ridisegnarne l’architettura in chiave personale, ne hanno dato un’interpretazione che prova quanto fosse già nelle loro corde!”.

Foto di Cristiano Bianchi – Testo di Antonella Boisi

In occasione de La Settimana della Comunicazione2011 (3-9 ottobre)è fissato un incontro con tre grandi maestri della porcellana. L’evento si volge presso Officine Saffi (via Saffi 7) e anticipa l’inaugurazione della mostra Translucencieche si terrà dal 12 ottobre. Traslucenze, luci e trasparenze nelle installazioni luminose di tre grandi interpreti contemporanei della porcellana. Per la prima volta insieme, il ceramista svizzero Arnold Annen, Margaret O'Rorke e Angela Mellordall’Inghilterra. Tre artisti che hanno indagato l’utilizzo della porcellana combinato a fonti luminose, una ricerca in grado di trasformare l’interior contemporaneo, donando atmosfere di grande suggestione. www.officinesaffi.com.