Il Messico vanta una lunga tradizione nella fabbricazione di oggetti d’uso quotidiano, arredi e capi d’abbigliamento, antica come la storia del Paese stesso e anche precedente. Tuttavia, se parliamo di oggetti in termini di design, non possiamo che constatare l’origine recente di questa disciplina, tuttora in piena fase di definizione.
La prima facoltà universitaria di design è stata inaugurata presso l’Universidad Iberoamericana nel 1959 e un decennio dopo la Universidad Autónoma de México (UNAM) ha aperto le porte al disegno industriale con professori del calibro di Horacio Durán, Ernesto Velasco León, Mario Lazo Villarreal, Clara Porset e Douglas Scott, tanto per fare qualche nome.
Questi primi modelli didattici, come molti in America Latina, si rifacevano alle teorie pedagogiche della Bauhaus, della scuola di Ulm e dell’Illinois Institute of Technology. Anche se nella prima metà del XX secolo erano stati fatti grandi sforzi per creare una cultura del progetto, in Messico è sorta una coscienza del design di più ampio respiro soltanto quando hanno attecchito questi sforzi educativi.
Nonostante parecchi intoppi, il design oggi gode nel nostro Paese di un grande successo i cui prodromi possono essere collocati negli anni ‘90 del secolo scorso. Probabilmente, la prima esperienza significativa è ascrivibile alla Galería Mexicana de Diseño, fondata nel 1991 dalla designer Carmen Cordera, che si è data da fare per esporre e commercializzare design internazionale, ma anche per aprire spazi espositivi destinati al design realizzato in Messico.
Contemporaneamente, il museo privato Franz Mayer, inaugurato nel 1986 che si rivolgeva alle arti applicate, ha iniziato a realizzare mostre legate inizialmente al design internazionale e, in una fase successiva, a quello messicano. In occasione del suo 30º anniversario, celebrato nel 2016, il suo logo riportava già le parole “Artes aplicadas y diseño” (“Arti applicate e design”) e attualmente è l’unico museo del Paese dedicato veramente al design.
Senza dubbio, è con il nuovo millennio che ha iniziato a formarsi una comunità e, di conseguenza, uno scenario del design nazionale. Grazie a programmi educativi dedicati a questa disciplina in università pubbliche quali la UNAM, la UAM (Universidad Autónoma Metropolitana) e in quelle private come la Universidad Iberoamericana, la Universidad Anáhuac (Nord e Sud), ma anche il Centro de Diseño, Cine y Televisión di Città del Messico e nel CEDIM di Monterrey (Centro de Estudios Superiores de Diseño de Monterrey), per citare alcune scuole, si sono formate nuove generazioni di designer con una visione innovatrice e imprenditoriale.
Una volta formati i designer, la sfida successiva per il Messico è stata diffondere il loro lavoro nei circuiti sia commerciali che culturali. In questi anni, i grandi magazzini hanno puntato poco sul disegno e rari sono i negozi specializzati in design nazionale. Perciò, l’alternativa è stata quella di trovare nuovi modelli di vendita, come i bazaar o le fiere temporanee itineranti.
Bazar Fusión è stato il primo nel 2003, a cui è seguita La Lonja nel 2010, un evento dal quale si sono staccati due progetti di promozione internazionale: Caravana Americana, negli intenti, una fiera di livello internazionale che cerca di inglobare anche le forze latinoamericane, e Atalaya, un’altra fiera che si propone di espandere gli orizzonti dei designer locali verso mercati più globali.
Dal punto di vista culturale, molti sono gli sforzi compiuti nell’ultimo decennio per diffondere e promuovere il design. Dal 2009, Fomento Cultural Banamex ha realizzato tre importanti mostre dal taglio storico che tracciano un profilo dell’evoluzione del design – arredamento, moda e argento – e al tempo stesso danno visibilità alle creazioni delle nuove generazioni.
ARCHIVO. Diseño y Arquitectura è uno spazio privato che ha cercato di creare un dialogo fra le comunità del design e dell’arte, mentre la Design Week México e l’Abierto Mexicano de Diseño sono due appuntamenti annuali ormai consolidati, che hanno fatto sì che ottobre, quando si tengono entrambi gli eventi, venga considerato il mese del design a Città del Messico.
Zona Maco, la grande fiera di arte contemporanea della città, già dal 2011 vanta una sezione di design curata da Cecilia León de la Barra, che è riuscita a introdurre il design nell’immaginario di un pubblico sofisticato e dall’elevato potere d’acquisto. Anche se una delle grandi sfide è la commercializzazione e la circolazione del design, un’altra cosa è comprenderne l’identità e darle una voce propria.
Di sicuro, continua a esistere una separazione fra l’industria e il design. Le grandi aziende continuano a non scommettere adeguatamente sulla cultura del progetto, per cui ai designer non è rimasto che trasformarsi in imprenditori. Héctor Esrawe, Carla Fernández, Pirwi, Tuux, Jorge Diego Etienne e Joel Escalona sono solo alcuni degli esempi di successo in questo campo.
Un’altra sfida del design nel nostro Paese è comprendere la storia, gli eventi e il processo con cui questa disciplina si è sviluppata nel corso degli anni, allo scopo di orientare la sua ricerca verso proposte consapevoli. Per fare ciò, è necessario che, partendo dalle istituzioni accademiche, si continui a scrivere e a rivedere la storia del design in Messico attraverso libri, cataloghi, mostre e collezioni private e musei.
Allo stesso tempo, oggi esiste un gran numero di designer che hanno scelto di focalizzare la loro attività sulla comprensione della tradizione, in termini di valori, essenza e manodopera. Le pratiche collaborative, cioè la collaborazione onesta, creativa e orizzontale fra designer e artigiani, fa parte dello scenario attuale e rappresenta un settore vivo, propositivo e vibrante: Bi Yuu, Oax-i-fornia, Oscar Hagerman, Moisés Hernández e il suo marchio Diario o il Colectivo 1050 fanno parte di questo movimento, che senza dubbio sta facendo in modo che a livello mondiale il design messicano emerga rispetto agli altri.
Non mi arrischierei a predire il futuro del design in Messico, ma ciò che posso intravvedere è uno scenario ricco e attivo, in costante trasformazione. La storia, l’essenza e la tradizione devono diventare una parte fondamentale del dibattitto contemporaneo; allo stesso tempo, però, bisogna cercare una collaborazione con l’industria e con le nuove tecnologie. Economie miste, processi semi-artigianali, dialoghi costanti e molta sperimentazione dovranno diventare parte fondamentale di ciò che sta per arrivare.
Testo di Ana Elena Mallet