Trentanove anni davvero non li dimostra questo giovane progettista nato nella tedesca Halle, città anseatica fagocitata nel secolo scorso dal ritmo e dai costumi della Germania Est.
“Me la ricordo bene quell’atmosfera” dice Moritz Waldemeyer in un correttissimo italiano: “Se avete visto qualche anno fa un film cult come Good Bye Lenin, potete capire: una vita difficile, eravamo consapevoli di essere ‘gli altri’, quelli rimasti fermi agli anni Cinquanta”. Se ne andava in giro a quei tempi con un motorino in puro DDR style: “Andava e, ogni tanto, non andava. Mi arrabbiavo moltissimo”. Ragazzino arrabbiato con una certezza: andarsene al più presto da quel Paese. “Ci sentivamo dei reclusi e io non vedevo l’ora di uscire per vedere altri posti: la cosa più urgente era viaggiare”. 1989: cade il muro e la Germania torna unita. Moritz se ne va a Berlino con i genitori. Segue la Francia, costa Azzurra e Camargue. Ma sarà Londra la sua destinazione. “Comincio a studiare International Business ma capisco che non è la mia strada”. Opta per gli studi di ingegneria. Fa Mechatronics al King’s College, è una disciplina complessa che fonde la meccanica all’elettronica e segue un master sempre a Londra con Philips alla Philips Resource dove poi si fermerà a lavorare. “Erano gli anni del ‘dot com’, tutti entusiasti del futuro: posso dire di essere stato in uno dei posti più tecnologici e futuristici che esistevano”. Capisce subito la potenzialità delle lampade Led e ci lavora alacremente, studiando congegni che utilizzavano la nuova tecnica di illuminazione. “Verso la metà dei 2000 a Londra è arrivata la crisi, chiudono molte società ma io ero determinato a restare. Mi dicono di presentare il mio lavoro a un certo Ron Arad: nasce un rapporto professionale e di amicizia molto importante”. È il suo lancio come autore: per Ron Arad con Swarovski realizza il lampadario interattivo (2006). Nello stesso anno, sempre con Swarovski, presenta una collezione di abiti interattivi collaborando con lo stilista turco Hussein Chalayan, a Londra firma la mostra Electric Kind. Seguono una serie di lavori importanti che coincidono con l’apertura del suo studio londinese, tra cui la mostra Design & the Elastic Mind, al MoMA di New York in cui presenta una sua personale versione della tavola da ping pong con luci Led e DuPont Corian. Seguono progetti per importanti brand come Audi, Philip Treacy, gli U2, fino ad arrivare a realizzare un pezzo davvero innovativo nella storia del design, è My New Flame presentata al FuoriSalone di Milano nel 2012 con Ingo Maurer, una candela led divenuta parte della collezione del Museo Permanente del MoMA di New York. Instancabile? “Semplicemente curioso di tutte le potenzialità che il mondo del design offre” dice Moritz, “ogni progetto è diverso e fa parte del divertimento di questo lavoro trovare nuovi spunti anche di cose molte lontane dal design: mi piace la contaminazione, creare nuove esperienze, per esempio lavorare con dei maestri di kung fu a una performance di luce per riprenderne l’estetica della gestualità attraverso dei fasci di luce”. È particolarmente orgoglioso dei suoi ultimi due progetti: il primo installato nella lounge dell’hotel Intercontinental a Davos in Svizzera “Si tratta di un’installazione di luce realizzata con un lampadario di 30 metri: ha una geometria basata più sulla matematica della forma che sulla tecnologia della luce e consiste in una serie di sfere di vetro molto semplici”. L’idea di Moritz è che questo grande lampadario crei “un’onda di design che produce luce calda verso il basso e proietta una luce blu verso il soffitto come fosse un cielo notturno stellato”. Il 5 dicembre si è inaugurata presso laRinascente di Milano la luminaria di design che percorre tutte le vetrine fronteggianti il Duomo e il porticato. Si intitola Winter Wonder, un’installazione di luce performativa che è stata realizzata in collaborazione con Interni. “L’idea era di simulare una spirale di vento freddo che trascina dai portici alle vetrine dei meravigliosi cristalli di plexi che combinano dei disegni da favola e cambiano continuamente colore come in un caleidoscopio”. Questa è un po’ in sintesi la grande qualità di Waldemeyer: la capacità di coniugare un’estrema competenza tecnica – lui costruisce con il suo staff tutti i pezzi che va poi a produrre – e una straordianaria capacità di creare emozioni.