Nel mondo in rivoluzione digitale “la pelle levigata degli oggetti” non è più “tesa come la tenda di un circo”, come scriveva il poeta polacco Adam Zagajewski. Al contrario, la superficie delle cose si è fatta palpitante, vibratile, gremita di anfratti più performanti dei corpi che dovrebbe rivestire.
È lo stesso senso vissuto della superficie a mutare in seguito all’infiltrazione ubiqua della tecnologia, come illustra il progetto Technomimicry della giovane designer Lianne Polinder, la quale, basando il decoro tessile di una gonna sui pixel di uno schermo LCD, propone una via ‘ornamentale’ all’esperienza misterica della tecnologia, la cui stretta sull’utente si fa ogni giorno più addentro alle umane cose e organiche.
Analogo idioma visuale si trova anche nella lampada Take-Off del marchio tedesco Fifty-Fifty, il cui decoro è ottenuto tramite la rimozione selettiva di ‘scagliette’ di paralume preforate al laser. La superficie tecnologicamente aumentata non è più, di fatto, un ‘film’ che avvolge l’oggetto, ma il luogo stesso in cui l’oggetto avviene. L’effervescenza di un settore emergente come quello del ‘fashiontech’ la dice lunga in proposito.
La vestizione assomiglia sempre meno a un lenzuolo impalpabile e sempre più a una dimensionalità densa che espande la presa esistenziale del corpo, rilevandone lo stato fisiologico, partecipandone lo sforzo muscolo-scheletrico, mantenendone attivo il feedback con il mondo-network.
Così, l’abito ‘meccatronico’ Spider Dress 2.0 di Anouk Wipprecht integra un chip che sfrutta i segnali biologici per rilevare le minacce esterne, contro le quali mobilita i suoi bracci meccanici a difesa dello spazio personale. Un oggetto come questo, allo stesso tempo affascinante e inquietante, è fatto della stessa sostanza ‘superficiale’ di cui è fatta una seduta come quella progettata da Zaha Hadid con Stratasys, la cui flussione geometrica, stampata in 3D a variazione di densità, ottimizza le tensioni strutturali dell’oggetto, visualizzate da venature blu che ne attraversano il tessuto membranale.
Le nuove superfici aumentate stanno rendendo le cose porose, agibili, nano-strutturate, prive di un esterno contrapposto a un interno, definite piuttosto da una fasciatura di Möbius che specifica il corpo oggettuale in maniera flessibile ma capace di struttura. L’oggetto, non più colmo di mistero metafisico come le impenetrabili nature morte di Giorgio Morandi, intrattiene con l’ambiente uno scambio omeopatico continuo talmente attivo a livello epidermico da rendere obsoleta la stessa presenza di massa dell’oggetto, dispiegato in uno spazio lamellare a dimensionalità variabile che trascende la distinzione tra bidimensionale e tridimensionale.
È quanto mostra il sistema Kinematics di Jessica Rosenkrantz e Jesse Louis-Rosenberg, fondatori di Nervous System, che combinando tecniche di geometria computazionale e fisica dei corpi rigidi possono stampare in 3D elementi singoli già inanellati, singolarmente rigidi ma complessivamente morbidi come un tessuto con cui realizzano abiti a partire dalla scansione del corpo. Mentre esplorando la stessa plastica fluido-organica della stampa 3D generano le affascinanti forme scultoree Florescence Ornata, ottenute dalla crescita differenziata del materiale sul bordo di un cono.
Infine, l’installazione presentata dalla Patrick Parrish Gallery di New York all’ultima edizione di Design Miami offre un diagramma grafico di questa continuità di superficie che, senza interruzione di senso, dà corpo agli oggetti e oggettualità ai corpi. In essa lo studio RO/LU ha proposto una serie di oggetti ispirati al lavoro sulla quadrettatura di Superstudio e alle installazioni ambientali di Sottsass, mentre Various Project ha applicato lo stesso motivo a una serie di abiti a curvatura digitale dalla geometria tersa, ma cedevole.
Di Stefano Caggiano

