Marfa, remota cittadina del Texas occidentale, si è guadagnata la fama di mecca del minimalismo, quando l’artista Donald Judd si è insediato da quelle parti negli anni Settanta. Per quanto da allora la demografia sia in un certo senso cambiata, con meno proprietari di ranch e più mercanti d’arte e persone che si preoccupano di soddisfare le esigenze delle orde di turisti che oggi piombano in città per seguire le tracce dei loro eroi dell’arte minimalista, Marfa ha conservato l’identità tipica della piccola cittadina.
La galleria Inde/Jacobs, progettata dagli architetti svedesi Claesson Koivisto Rune, non cambierà certo questo stato di cose, ma l’edificio rientra nel novero delle pochissime aggiunte contemporanee all’architettura della città. Si tratta di un edificio che non sarebbe neanche stato creato, se non fosse stato per la passione per l’arte minimalista in generale e per Judd in particolare che gli architetti condividono con i loro committenti. La storia dell’edificio dedicato alla galleria, che ha appena aperto i battenti, risale a dieci anni fa, quando gli architetti, per puro caso, incontrarono i proprietari della Inde/Jacobs che avevano appena inaugurato una galleria improvvisata in una vecchia autofficina.
Tutti conosciamo una delle principali caratteristiche delle tipiche cittadine americane: l’immancabile casetta con il portico che sorge su un piccolo appezzamento di terreno, con la facciata orientata verso la strada dove si svolge la vita pubblica e il cortiletto sul retro che si conclude con un vialetto. Marfa non costituisce un’eccezione alla regola ed è in rottura netta e deliberata con questa tradizione costruttiva che Claesson Koivisto Rune hanno deciso di realizzare il loro progetto.
L’estremità della galleria dà sulla strada e metà dell’appezzamento che occupa è riservata a un cortile che si sviluppa per tutta la lunghezza dell’edificio. Si entra dal lato lungo e la facciata allungata cela il cortile che separa la galleria dalla dimora privata. Il fatto di aver rigirato l’edificio posizionandolo perpendicolarmente alla strada è una delle due caratteristiche distintive del progetto. L’altra è la prospettiva.
Tra tutte le arti, l’architettura è la più lenta, dato che i progetti ci mettono sempre diversi anni per concretizzarsi. Per completare questo edificio c’è voluto un decennio e, parlando di tempo e architettura, la vera questione è capire come questo fatto agisca sui progetti. Si potrebbe argomentare che il tempo è il test per eccellenza delle idee, l’unico modo per verificare quali avranno successo e quali no. Su molti progetti potrebbe gravare troppo lo spirito del tempo, ovvero concept e caratteristiche che, dopo dieci anni, sono semplicemente sorpassati, facendoci sentire sollevati all’idea che non abbiano mai superato la fase dello schizzo sul tovagliolo.
Ciò che colpisce nell’edificio che gli architetti Claesson Koivisto Rune hanno progettato per la galleria Inde/Jacobs è il fatto che, se si guardano i primi schizzi, ci si rende conto che l’idea presentata ai clienti nel gennaio del 2006 è molto simile all’edificio fatto e finito. In realtà, si dovrebbe guardare molto attentamente per vedere come il progetto è stato modificato. Non è cambiato un granchè. Il decennio trascorso ha solo dato agli architetti la possibilità di mettere a punto il concept. Si tratta di piccoli dettagli, sono cambiate le finestre e ciò che adesso è la residenza dei proprietari della galleria era inizialmente una residenza d’artista.
Le principali caratteristiche dell’idea architettonica sono rimaste invariate e hanno superato la prova del tempo. Basta una parola per descrivere il concept del progetto: prospettiva. Ispirandosi ai paesaggi del Texas occidentale con le sue distese pianeggianti e panorami in apparenza sconfinati, gli architetti hanno trasferito quelle che ritenevano essere le principali caratteristiche del contesto all’edificio/architettura.
La prospettiva migliorata – o forzata – con l’angolo della parete autoportante che definisce il cortile e la pari inclinazione del tetto, risponde a un unico obiettivo: dilatare l’edificio facendo in modo che sembri più lungo. In tutto questo non si percepisce un intento funzionale, bensì un omaggio alla cittadina di Marfa e all’arte minimalista che sia gli architetti che i committenti apprezzano e amano tanto. È stato un modo di suscitare un effetto, un modo di alzare la ‘barra artistica’ con mezzi sottili.
Marfa è il luogo ideale per un’architettura mossa da tali aspirazioni. A parte i ponderati giochi architettonici, questo è un edificio che ha uno scopo: esibire l’arte. Quella di Inde/Jacobs è una galleria specializzata in artisti che lavorano seguendo la tradizione di Donald Judd nonchè altri grandi minimalisti e artisti della Chinati Foundation.
La galleria consiste in un ampio spazio con un magazzino e un lucernario per definire aree più piccole dentro la stanza. Le tre pareti intorno al lucernario non toccano il pavimento mentre i muri che si ergono intorno al magazzino non raggiungono il soffitto. Per gli architetti è stato un modo per consentire alla spazialità di fluttuare liberamente, pur prevedendo sufficienti muri liberi e variazioni nelle dimensioni della stanza, domande che una galleria d’arte potrebbe avere.
foto di Åke E:son Lindman – testo di Daniel Golling

