Spesso parlando del Brasile pensiamo a un Paese compatto, raccolto attorno ai grandi stereotipi che lo hanno reso appetibile e conosciuto in tutto il mondo: le spiagge di Rio, l’incrocio di razze “arcobaleno” che ha prodotto il Carnevale, il Samba e la Bossa Nova, fino – per i conoscitori più raffinati della cultura brasiliana – al Candomblé o ai romanzi di Amado ambientati a Salvador de Bahia.
La realtà è più complessa, anche più di quella misticheggiante che ha segnato il successo mondiale di Paulo Coelho: il Brasile ha le varietà e le articolazioni di un intero continente. Pochi ad esempio conoscono il profondo Sud del Paese che corrisponde a una stratificazione socioculturale legata alla cultura tedesca e – per quanto riguarda l’Italia – alla radicazione di comunità venete arrivate negli anni della seconda immigrazione, dopo quella disperata e più povera di inizio secolo, sbarcate a New York e Buenos Aires. Una Italia già produttiva e laboriosa che negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, dalle concerie della Valle di Chiampo, nel vicentino, tenta con successo il trasferimento in territori in qualche modo simili per morfologia e paesaggio, ma più aperta, con un respiro sul futuro che l’Italia già allora faticava a garantire. Arriviamo così a Farroupilha, un centinaio di chilometri a ovest di Porto Alegre, paesaggio di colline nebbiose che non ha nulla da invidiare ai Colli Berici di Vicenza, dove arriva la famiglia Grendene, che nel giro di qualche decennio, a partire dal 1971, impianta con ingegno tipicamente italico, una produzione prima di imballaggi, poi di accessori in plastica, che implica la progettazione di stampi e il concepimento di nuove famiglie e tipologie di prodotto. Assistiamo così – ancora una volta – al dispiegarsi di quella relazione virtuosa che dalla passione artigianale del prodotto unico e ben fatto, si trasferisce alla produzione di macchine industriali altrettanto uniche e innovative, che permettono la realizzazione di prodotti in plastica, inseguendo l’utopia di una radicale modernizzazione del Paese, attraverso la magia di un materiale che introduce al futuro. Negli anni ’80 viene compiuto da Grendene l’ulteriore salto innovativo – sempre guidato dalla creatività applicata – che la porterà ad essere oggi la più avanzata fabbrica di calzature “a iniezione” del mondo: per la prima volta il materiale plastico viene utilizzato nella produzione di calzature monomateriche, in cui la plastica costituisce la pelle e l’anima del prodotto. Gli aspetti di funzionalità, igienicità, lavabilità, risultano nel tempo irresistibili e il successo sul mercato – sostenuto da un imbattibile rapporto prezzo/ qualità – appare inevitabile, accompagnando la difficile transizione del Brasile da Paese sottosviluppato, governato da dittature militari, a Paese emergente, in grado di costruire il futuro con le proprie forze e le proprie straordinarie risorse umane e naturali. Ed è qui che il design thinking – con l’inizio del nuovo millennio – fornisce materia e conoscenza per questo triplo salto finale, che si dimostrerà non mortale ma vitale, in una sorta di capriola innovativa che oggi vediamo realizzata nella rigenerazione e nel successo mondiale del Gruppo Grendene. Più in particolare l’azienda si nutre del successo di Melissa, una marca che sotto la guida di Edson Matsuo – un designer illuminato che gestisce da più di un decennio la divisione Ricerca e Sviluppo di Grendene e dirige il Centro Design interno – ha letteralmente stravolto la concezione della calzatura in plastica come semplice prodotto basic, low cost, adatto esclusivamente a una fruizione quotidiana e poco attrattiva. Melissa, infatti, già da un decennio ha avviato – proprio come Alessi in Italia alla fine degli anni ’80 – una serie illimitata di collaborazioni con designer brasiliani e internazionali (dai fratelli Campana a Zaha Hadid), per concepire, realizzare e vendere una famiglia di calzature fortemente innovative, che partendo dalla matrice plastica, sperimenta forme, strutture, colori e perfino odori (la collezione Melissa è infatti caratterizzata da una profumazione inconfondibile, diventata marchio di fabbrica a tutti gli effetti) che corrispondono ai dettami del Quick & Deep, della qualità creativa nel quotidiano, della personalizzazione spontanea del proprio abbigliamento attraverso l’accessorio. L’intero sforzo creativo e produttivo viene presentato ormai da un decennio nel primo concept store nato in Brasile, nella via della moda e dell’innovazione, Oscar Freire di San Paolo: la Galleria Melissa. Ma la storia non fi nisce qui, anzi sembra alimentare un nuovo inizio. L’ultima sfi da che oggi l’azienda sta affrontando con serietà e con grande dispendio di mezzi e di ricerca applicata riguarda, in questa dinamica da triplo salto mortale, il terzo passaggio dopo quello dell’innovazione produttiva e quello del design thinking: la sfi da della sostenibilità. Nel caso di Grendene e dei suoi brand (oltre a Melissa, che è la marca di punta nel mercato femminile, e Ipanema, che con la collaborazione di Osklen ha elaborato una nuova strada di creazione e produzione per fl ip-fl op dal forte carattere carioca, cioè ispirate allo spirito di Rio de Janeiro, ricordiamo Rider, Grendha, Ilhabela e Grendene Kids) la sostenibilità corrisponde al riciclo integrale dei suoi prodotti, in gran parte monomaterici. È sul fi lo del nuovo paradigma Crucial & Correct che la storia di Grendene e della sua produzione di calzature in plastica, sembra voler rilanciare il proprio messaggio prima in Brasile, poi nel mondo.