Oggi, chi si occupa di sostenibilità delle aree urbane vede in Stoccolma uno degli esempi più avanzati. Non a caso la città svedese è stata la prima ad aggiudicarsi il premio come capitale verde europea nel 2010, anno in cui fu istituito il riconoscimento.
Ma il suo impegno per raggiungere e mantenere elevati standard ambientali e di sviluppo sostenibile risale a molti anni prima e ha continuato a svilupparsi seguendo principi chiari e stabili nel tempo. Lo testimonia il quartiere di Hammarby, primo e virtuoso esempio di ‘simbiocity’.
“Il progetto prese le mosse a partire dalla fine degli anni 90 per riqualificare un’area industriale fortemente compromessa a Sud della città e ospitare il nuovo villaggio olimpico in vista dei Giochi del 2004”, ci spiega Erik Freudenthal, che ci accoglie nell’Information Center, un bellissimo edificio vetrato nel bel mezzo del quartiere.
“L’opzione Olimpiade, tuttavia, venne meno e così il comune, che aveva acquistato i terreni, decise di sfruttare questa opportunità per realizzare un’area urbana-modello. Come? Attraverso una pianificazione integrata, che realizza una sorta di simbiosi fra operatori pubblici e privati, capace di mettere insieme tutti gli aspetti di uno sviluppo urbano sostenibile: dall’approvigionamento di acqua ed energia allo smaltimento dei rifiuti, dalla mobilità ai servizi destinati alla collettività come scuole e ospedali, dalla tutela del paesaggio all’edificazione ‘intelligente’ dei nuovi insediamenti residenziali”.
Oggi il quartiere, con quasi vent’anni di storia alle spalle (ma il progetto si concluderà solo nel 2020) ospita 30.000 abitanti, 13.000 appartamenti, 20.000 posti di lavoro, destinati in massima parte ai residenti del quartiere, e moltissimi bambini (un quarto della popolazione è al di sotto dei 16 anni). Ma sono davvero molti i primati di Hammarby.
Ci spiega Erik: “Pensi che qui il 99 per cento dei rifiuti viene riciclato e trasformato in energia: dopo essere riposti dai cittadini in appositi contenitori suddivisi per genere (carta, umido e generico), i rifiuti vengono ‘risucchiati’ grazie a un sistema pneumatico e corrono lungo le tubature sottorrenaee a una velocità di 70 km orari (più delle automobili che nel quartiere non possono superare i 30 km orari) per poi arrivare a destinazione in aree periferiche, lontane dal centro urbano. Il trasferimento è interamente controllato da computer per cui i ‘diversi generi’ di rifiuti non si incontrano mai all’interno del sistema di canalizzazione!”.
Un altro miracolo riguarda la mobilità. “Sin dall’inizio è stato incentivato il trasporto pubblico”, spiega Erik, “realizzando la costruzione della linea tramviaria di collegamento con il centro cittadino un anno e mezzo prima della costruzione del quartiere e promuovendo anche il car sharing. Il risultato è che in questa area l’uso delle auto è diminuito del 40 per cento.
Infine, edifici e aree verdi sono stati costruiti seguendo precise guidelines, che contemplano l’altezza dei palazzi, l’uso dei materali, i colori delle facciate, l’illuminazione, le strade, i giardini… sempre in piena sintonia fra municipalità e developers privati.
Partire dunque con una visione ben precisa, incentivare la cooperazione fra pubblico e privato, fissare obiettivi sempre misurabili e lavorare in una prospettiva olistica sono in definitiva i fattori che hanno decretato il successo di Hammarby”, conclude Erik.
E sono gli stessi che hanno anche ispirato il Stockholm Royal Seaport, l’ultimo, ambizioso progetto di sviluppo e riqualificazione urbana che interessa l’area Nord Est della capitale svedese, non lontana dal centro: entro il 2030 saranno completate 12.000 unità immobiliari destinate a residenza e 35.000 a uso lavorativo.
Un quartiere, insomma, dove vivere e lavorare, integrato nella vita cittadina (il centro non è lontano e ben collegato) e a misura d’uomo. “Il progetto si è già guadagnato il C40 Cities Award, e cioè il riconoscimento come migliore iniziativa di sviluppo urbano sostenibile durante l’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (Parigi 2016, ndr)” ci rivela con orgoglio Camilla Edvinsson, dell’Information Officer del Stockholm Royal Seaport Project.
“Punto di forza del nuovo quartiere oggi in costruzione – i lavori sono inziati nel 2010 – è che nasce direttamente dalla municipalità: è la città di Stoccolma che crea il piano di sviluppo dell’area attraverso bandi di partecipazione che messi online coinvolgono architetti e developers. Chi è interessato deve essere in grado di rispondere agli ambiziosi requirements che sono stati fissati, e che secondo noi potranno essere di stimolo per progettisti e imprese edilizie private a trovare soluzioni innovative. Insomma una sorta di competizione per incentivare la diversità anche nel campo architettonico…
Attualmente sono 51 le società coinvolte nel progetto: ma il pubblico rimane sempre proprietario della parte di residenze che saranno date in locazione, il 50 per cento del totale, e naturalmente della realizzazione di strade, parchi, infrastrutture ecc.”, ci tiene a chiarire Camilla.
“Senza contare che abbiamo deciso di agire anche sull’esistente, riconvertendolo. Per esempio il vecchio gassificatore presente nell’area, un edificio di altissima qualità architettonica, verrà restaurato e trasformato in un teatro per la collettività, e anche due storici quartieri operai, degli inizi del 900 saranno recuperati. Metro, bus e una nuova linea tramviaria scoraggeranno l’uso delle auto e Royal Seaport sarà il primo quartiere urbano al mondo a essere alimentato da centrali elettriche ecosostenibili su larga scala”. Insomma un vero pezzo di città del futuro a portata di mano. Da copiare.
Testo di Laura Ragazzola