Dalle candide nevi scandinave alla ventosa baia di San Francisco. È il percorso che ha portato Snøhetta, lo studio norvegese fondato nel 1989 da Kjetil Traedal Thorsen e Craig Dykers, a firmare l’ampliamento del San Francisco Museum of Modern Art (SFMOMA), una delle maggiori istituzioni culturali californiane.
Più di 20 mila metri quadrati, distribuiti su 5 piani, sono stati coraggiosamente aggiunti agli spazi ormai insufficienti del museo originario, progettato dall’architetto svizzero Mario Botta vent’anni fa. Snøhetta (che prende nome da una delle più alte cime della Norvegia) ha vinto il concorso nel 2010, battendo sul traguardo concorrenti di spicco, tra cui diversi importanti studi americani.
E ora il nuovo edificio conferma la capacità dei progettisti norvegesi di legare l’architettura alla gente, al luogo, alla natura, al clima, rinnovando così, con slancio contemporaneo, la grande tradizione costruttiva scandinava. Abbiamo chiesto all’architetto Craig Dykers, uno dei due soci-fondatori dello studio, di parlarci di questo nuovo progetto.
Mr. Dykers, lei lavora da quasi trent’anni nel mondo dell’architettura, con progetti sempre più ambiziosi. Oggi il suo studio vanta quasi duecento collaboratori, due sedi (quella di New York, oltre a quella storica di Olso), lavori in corso in quasi tutti i cinque continenti Si può dire che ormai ha raggiunto la vetta di quel monte, Snøhetta, da cui prende il nome il vostro studio?
Pensi che ogni anno tutti noi dello studio ci incontriamo proprio ai piedi di Snøhetta! Certo, trent’anni passano in un attimo. E comunque, indipendentemente da quanto tempo sia passato, noi per principio non stiamo lì a chiederci a che altezza ci siamo elevati sopra il livello del mare, tanto per usare la sua metafora. Certo, è bello sapere che abbiamo raggiunto una fase in cui la gente ha piacere di conoscere i nostri lavori e vuole essere coinvolta in quello che stiamo facendo. Più persone incontriamo, più abbiamo una sensazione positiva su quelli che potranno essere gli sviluppi della nostra attività.
Risale al 1989 la prima gara importante vinta dal vostro studio per la biblioteca di Alessandria, in Egitto, mentre quest’anno, a maggio, apre l’ampliamento dello SFMOMA,in California, il vostro successo più recente. Che cosa le viene in mente ripensando a questi due momenti chiave della sua vita e della sua carriera?
Mi viene da pensare che ci sia un angelo alle nostre spalle… talmente tanti sono stati i grandi lavori in cui siamo stati coinvolti. La biblioteca di Alessandria, ma anche la Norwegian National Opera, la ricostruzione dell’area del World Trade Center, nella città di New York, il centro d’arte parietale collegato alle grotte di Lascaux, in Francia. Tutti noi che lavoriamo nello studio ci sentiamo parte di qualcosa di più grande di noi. Non ci resta che tuffarci in questo mondo così complesso e fare del nostro meglio per parteciparvi.
Il progetto di SFMOMA ha comportato l’estensione di un edificio preesistente, disegnato da un suo collega altrettanto famoso, l’architetto Mario Botta. Vi siete mai parlati? Che cosa significa costruire accanto a un edificio simbolo dell’architettura moderna? In che modo si stabilisce una relazione?
Il progetto di Mario Botta ha dato un grande contribuito allo sviluppo del museo e della stessa città di San Francisco, che è sempre più vitale. Il suo disegno è stato fin dall’inizio una parte integrante della nostra impostazione e speriamo di averne conservato le caratteristiche essenziali. Il cambiamento maggiore è stato il ridisegno della scala di ingresso: l’abbiamo allargata per rispettare le regole di sicurezza, dato che l’edificio aumentava di dimensioni e di capacità. Conosco Mario Botta e ci siamo incontrati in diverse occasioni nel corso degli anni. Anche all’inizio della progettazione abbiamo avuto un breve incontro. Tutti noi ammiriamo il suo lavoro e spero che faccia un salto a vedere come il suo edificio è cresciuto e come si presenta nella versione attuale.
Il museo e la città di San Francisco, con la sua splendida baia. Come avete risolto questa relazione, in termini di forma e di ideazione? E come può contribuire una nuova architettura a migliorare la vita della città e dei suoi abitanti?
Tutti gli edifici devono rapportarsi al loro immediato contesto. Diversamente dalle barche o dalle auto, gli edifici non si muovono ed è quindi essenziale che la loro natura statica si misuri con l’ambiente che cambia intorno a loro. Lo SFMOMA è pensato per integrarsi con il clima marino della città. Le sue superfici bianche brillano e assumono tonalità e aspetti diversi al passaggio del sole e delle nuvole (le facciate sono rivestiti da 700 pannelli, realizzati con un particolare polimero rinforzato con fibre di vetro, ndr).
La sua struttura, che si sviluppa orizzontalmente nell’area, ha un disegno per così dire “geologico”, che richiama quello delle scogliere della California settentrionale. Per quanto riguarda i cittadini di San Francisco, penso che la gente aspiri a stare dove si vive meglio e che il nostro edificio sia un elemento per soddisfare questa aspirazione (il museo, oltre ai 9.000 metri quadri di nuove gallerie espositive, regala una passeggiata lungo un giardino verticale popolato da ben 16.000 piante di specie diverse, ndr).
Mini progetti, come quello di una casa per uccelli a New York e maxi progetti come i 22 mila metri quadrati dello SFMOMA. Come mai lavorate su scale così diverse?
I progetti più piccoli danno agli architetti più giovani l’opportunità di spiccare il volo. Inoltre, è sempre bello vedere un lavoro realizzarsi dopo pochi mesi, invece dei decenni che spesso sono richiesti dai progetti pubblici…
Etica ed estetica: che cosa prevale nei vostri lavori? Pensate vi sia una responsabilità sociale nel lavoro di un architetto?
L’etica vince sempre. Dobbiamo capire che quello che facciamo come progettisti va a formare il carattere della società in cui viviamo. Una forma priva di funzione è sinonimo di decadenza. Certo, un pizzico di decadenza va bene, crea divertimento, ma non può essere tutto quello cui noi aspiriamo. Voglio però sottolineare che l’aspetto decorativo gioca un ruolo importante nel design, anche se è difficile quantificarlo.
Ultima domanda: è soddisfatto del suo ultimo museo?
Direi di più: ne sono innamorato. È accogliente, stimolante, vivo. Penso sia un ottimo posto per darsi un bacio, mentre si gusta la bellezza che il mondo dell’arte può offrirci. Non vedo l’ora di vederlo pieno, mi auguro, di nuovi visitatori.
Foto di Henrik Kam – Testo di Laura Ragazzola – Disegni di Snøhetta

