“Cosa c’è in cima all’anello? Un’antenna. Sonda gli umori culturali, alla ricerca di nuove correnti”. Risponde così Maurice Nio per spiegare le ragioni di quel pennone che s’innalza dal guscio del suo futuristico edificio destinato ad ampliare gli spazi del Centro Luigi Pecci di Prato.
Classe 1959, olandese ma di origine indonesiana, Nio rappresenta una delle voci più originali e visionarie nel panorama dell’architettura internazionale. A partire dal suo lungo sodalizio con il mondo dell’arte per scoprire, ma soprattutto ‘sentire’, le dimensioni più nascoste del processo progettuale.
Nel saggio introduttivo al suo nuovo libro ‘SupraSensitivity in Architecture’ (il volume è stato presentato in concomitanza con l’apertura del nuovo museo, lo scorso ottobre) Nio scrive: “Come progettisti bisogna saper toccare le corde giuste… E questo vale quando si è in grado di animare la materia con una vibrazione che a sua volta ne rilascia un’altra” trasformando così l’esperienza architettonica in una sorta di viaggio emozionale.
Ed è proprio quello che invita a fare la ‘navicella spaziale’ di Nio, catturando l’attenzione, sollecitando la curiosità, innescando nuovi sentimenti e visioni. La nuova ala regala più di 7.000 metri quadrati alla struttura museale originaria, realizzata dall’architetto Italo Gamberini nel 1988: Nio ne conserva integralmente la struttura, ispirata alla maglia geometrica regolare del paesaggio industriale di Prato, e vi accosta “un anello morbido e sognante” – per usare le sue stesse parole – che abbraccia l’edificio esistente, saldandosi alle due estremità.
Una soluzione visivamente forte, dunque, che risulta però coerente anche dal punto di vista funzionale, riuscendo a riorganizzare la distribuzione dei percorsi e a moltiplicare la possibilità di esposizione. L’articolazione degli spazi prevede due livelli di sviluppo nel nuovo edificio: quello inferiore ospita le funzioni ricettive (nuovo accesso al museo, bookshop e ristorante) aprendosi alla città con un nastro vetrato che corre ininterrottamente da un’estremità all’altra dell’anello; quello superiore, è destinato, invece, alle esposizioni e si offre allo sguardo con un inedito rivestimento metallico color bronzo. Interno ed esterno dialogano fra di loro attraverso grandi occhi, simili ad oblò, che si aprono sulla texture dell’anello, favorendo la vocazione pubblica del nuovo museo.
A cominciare dalla possibilità di fruire della sua ricca collezione: più di 1.000 opere firmate da artisti internazionali, come Anish Kapoor o Sol LeWitt, ma anche dai maestri italiani del secolo scorso, come Mario Merz o Michelangelo Pistoletto, costrette e sacrificate per anni nei magazzini per mancanza di spazio.
Da qui l’ampiamento commissionato dalla famiglia Pecci per valorizzare il ricco patrimonio artistico esistente e restituirlo, quindi, alla collettività. Un obiettivo in piena sintonia con l’azione filantropica del suo fondatore, l’imprenditore Enrico Pecci, che quasi trent’anni fa volle fortemente il museo per promuovere la conoscenza di forme artistiche nuove ed emergenti.
La permeabilità fra il Centro Pecci e la città è ulteriormente enfatizzata dalla nuova sistemazione dell’area verde che abbraccia il museo (già sede di una collezione open air), che viene riorganizzata e resa più accessibile grazie a una nuova piazza e a un teatro all’aperto di 1.000 posti.
L’offerta è completata da un cinema/ auditorium da 140 posti, uno spazio performativo, un bookshop, laboratori e sale d’incontro. La dimensione pubblica del nuovo museo trova così un’ulteriore conferma, creando un sistema aperto che vuole stabilire nuove relazioni fra l’arte, la città e il territorio. O come ha poeticamente sottolineato Nio, “un luogo dotato di un’anima vibrante, vivida e vitale”.
Foto di Lineashow – Testo di Laura Ragazzola