Aprire le porte alla creatività e al dono, nella vita quotidiana di giovani e bambini, può diventare davvero educativo. Certo occorrono buoni maestri, buoni stimoli e una serie di condizioni favorevoli.
Metti insieme un architetto come il giapponese Tadao Ando, Pritzker Prize nel 1995, che ha fatto dell’essenzialità del cemento faccia a vista le cifre della sua ‘arte’; Bosco Sodi, artista messicano che realizza grandi pitture fatte di colla, fibre naturali, polpa legnosa, mixate in geometrie informali che imbrigliano le crudezze dei materiali e delle città in cui nascono. E poi Patricia Martín, nota curatrice d’arte messicana.
Il risultato è una ‘cattedrale’ di opere e di idee che esprime una visione di sacralità coerente: Casa Wabi Foundation a Puerto Escondido, stato di Oaxaca, circa 500 km a sud ovest di Mexico City. Non un museo tradizionale o una galleria, bensì una fondazione d’arte, un luogo che si offre come esperienza spaziale-sensoriale, perché artisti di ogni genere (pittori, scultori, designer) possano sperimentare in loco, trovando ispirazione proprio nel contesto e nelle sue suggestioni. È stata inaugurata lo scorso anno, con un’installazione site-specific del francese Daniel Buren.
“La nostra missione è quella di favorire un dialogo aperto e costruttivo tra protagonisti nazionali e internazionali, attraverso una varietà di progetti interdisciplinari, che integrano programmi sociali ed educativi per/con la comunità” ha spiegato Martín, che è direttrice della fondazione no-profit, realizzata con donazioni pubbliche e private, e ha messo a punto la regia corale insieme a Sodi.
“Si chiama Wabi perché si ispira all’ideale giapponese del wabi-sabi, concetto che esprime la bellezza insita nelle imperfezioni e nella transitorietà”. Tre sono le coordinate principali che ne definiscono l’identità e il carattere.
Da una parte resta Puerto Escondido, la nota località balneare (diventata ancora più famosa dopo il film omonimo di Gabriele Salvatores) tra l’oceano Pacifico e la catena montuosa della Sierra Madre del Sur che, a Casa Wabi, è soltanto condizione di natura: sole, pioggia, vento, alberi da frutto e silenzio.
Dall’altra, c’è il paesaggio zen costruito dall’uomo per l’uomo, dove spaziare a guardare l’orizzonte, oltre lo specchio d’acqua della piscina: 5.000 mq che sviluppano la composizione di sei generose stanze private dedicate a residenze degli artisti (vi possono soggiornare da uno a tre mesi), otto studi, uno spazio espositivo-galleria di 460 mq, altri spazi polivalenti, e 25 ettari di giardino botanico destinati a diventare, nel corso del tempo, dimora di una collezione di arte contemporanea all’aperto.
Al centro, si materializza il potenziale immaginifico di un infinito creativo, tra natura e artificio: sono le possibilità di vita di un’arte che nasce day by day dal plasmare la materia e i materiali con sensibilità, alla ricerca di un senso estetico che non esclude la propria caducità.
In questo quadro, anche le 2500 tonnellate di cemento utilizzate dal ‘giardiniere’ Ando, per configurare i gusci e le pelli interne di memoria brutalista del complesso, i muri, le soglie e le gravità fisiche che sono elementi propri del fare architettonico, dissolvono e trascendono barriere concettuali, prima che fisiche, proponendo una diversa sintassi linguistica.
Nella continuità di linee, percorsi e spazi, infatti, il limpido ordine cartesiano dell’impianto e la plasticità espressiva delle strutture, composte nei consueti pannelli di casseratura, incontrano un contrappunto sensoriale: sono le foglie di palma essicate e spettinate che formano i tetti di paglia dei differenti corpi di fabbrica.
Un omaggio del maestro alla memoria della palapa, l’iconico padiglione con i lati aperti della tradizione costruttiva locale, e a un’idea dell’abitare che porta con sè il senso della protezione, del rifugio, del ventre materno, come valori simbolici-metaforici.
Negli interni, la luce come generatrice dello spazio, la semplicità rustica, la freschezza ed eleganza non ostentata delle porte in legno, degli oggetti e degli arredi rigorosamente artigianali, echeggiano nuovamente le suggestioni di questo genius-loci.
Ma, alla fine, ogni presenza inanimata altro non pare che una comparsa tra i personaggi della pièce invitati ad abitare Casa Wabi insieme all’arte. Sotto lo stesso sombrero, infatti, il ruolo di protagonisti va agli abitanti. Perché, nella solitudine della vita nella natura, possano ascoltare il luogo, percepirne quella bellezza austera e serena che si accompagna allo scorrere del tempo e interpretarla creativamente.
Foto di Edmund Sumner/Photofoyer – Testo di Antonella Boisi

