UN’INDUSTRIA DI DESIGN Alejandro Castro/Pirwi

Pirwi nasce in Messico circa dieci anni fa. Nel 2012 debutta anche al Fuorisalone di Milano riscontrando un successo mediatico internazionale per gli arredi dalla particolare lavorazione del legno multistrato e per la ricerca nelle essenze sempre lasciate al naturale.

I prodotti comunicano unicità estetica e un legame con i segni della tradizione messicana, senza esserne riferimento diretto. “Abbiamo creato l’azienda in un momento in cui il Messico dimostrava interesse per il design”, racconta Alejandro Castro, cofondatore e designer di Pirwi.

“Tuttavia era difficile lavorare come designer, ai tempi. L’industria consolidata non aveva interesse a coinvolgere i progettisti e la strada dell’autoproduzione rendeva necessario affrontare molti aspetti non consueti. Così abbiamo creato un marchio che fosse una piattaforma produttiva e di collaborazione tra designer: un lavoro in team che convogliasse le forze e le competenze in più campi per un unico obiettivo. Un modello piuttosto raro a Città del Messico.

L’azienda è stata concepita per un mercato globale, perseguendo valori di sostenibilità e benessere sociale: abbiamo creato la realtà in cui avremmo avuto piacere di lavorare. Tutti i collaboratori condividono la filosofia del marchio e vi si identificano e i prodotti sono sviluppati al nostro interno per garantire alla collezione un carattere univoco. La condivisione di progetti e strategie tra progettisti, processo manifatturiero e parte commerciale è fondamentale per un’impresa di successo e con obiettivi internazionali”.

Alla domanda se Pirwi rappresenti un’estetica locale, Castro risponde che “l’identità messicana è stata raggiunta in modo naturale per il fatto che la produzione e i progettisti sono messicani e la manifattura al 100% artigianale. Quest’ultimo aspetto è l’eredità su cui puntiamo: i nostri artigiani sono capaci di operazioni manuali che aggiungono valore al prodotto, visibile, ad esempio, nella cura complessiva, nei sistemi di giunzione, nella sabbiatura e finitura delle essenze che nessuna macchina può realizzare al pari”.

Pirwi in questi ultimi anni ha avviato operazioni con artisti che realizzano serie numerate di prodotto; in questo modo è in grado di proporre oggetti più complessi, ma anche di aprirsi a un mercato più da collezione. Ha inoltre ampliato la collezione con arredi in massello, mettendo così a punto ulteriori expertise manifatturiere. Infine, è passata dal mobile finito alla progettazione di case prefabbricate che ne rappresentano l’estetica e la filosofia con un salto di scala.

 

DAL CUCCHIAIO ALLA CITTÀ Hèctor Esrawe

Pluripremiato a livello internazionale sia per progetti di interior e architettura che per il design di prodotto, Héctor Esrawe vanta anche una lunga esperienza come docente presso l’UIA (Universidad Iberoamericana) e il Centro de Diseño, Cine y Televisión che ha, tra le altre cose, diretto e contribuito a fondare.

Non manca neppure l’esperienza nel mondo editoriale, facendo parte dell’advisory team della rivista messicana Arquine. Il suo design abbraccia più discipline, dall’architettura ai prodotti artigianali in piccola serie. C’è differenza di approccio per progetti in scale così differenti?

“Ho iniziato come furniture designer”, racconta Esrawe, “e gli arredi interagiscono con lo spazio fisico che li contiene. In questo modo ho cominciato a studiare l’imprescindibile relazione tra oggetti e interni e a ‘salire di scala’. Oggi lavoriamo con una metodologia che si basa su un approccio scientifico più che su un istinto, stile o espressione. Partiamo da una ricerca estesa e un brief chiaro che ci guida nella ‘diagnostica’. È una metodologia applicabile a tutte le scale e tipologie per capire il contesto e i suoi limiti”.

Il Messico industriale sta sviluppandosi rapidamente. “Sta diventando sempre più facile produrre qui con le migliori tecnologie e la migliore qualità manifatturiera, sia artigianale che legata ai processi digitali. La più grande difficoltà è culturale: la comprensione del design da parte dell’industria. Abbiamo bisogno di creare un legame ed enfatizzare il beneficio, il potenziale e il valore che il design può generare. Perché esso è un dialogo in progress con l’utente e il suo contesto, volto a comprendere lo spazio fisico e i bisogni emozionali della società in un dato momento e prefigurarne l’evoluzione”.

Lo Studio Esrawe, fondato a Città del Messico, è stato più volte premiato a livello internazionale, per esempio per il progetto The Casa del Agua, in collaborazione con Cadena + Asociados, che ha ricevuto il Red Dot Award (2014). I suoi pezzi sono stati esposti in importanti musei e gallerie quali l’High Museum di Atlanta, le gallerie Bensimon di Parigi e Mint di Londra.

A proposito del tratto messicano del suo design, Esrawe precisa: “Mi interessa imparare dalla tradizione e trasferirla in nuovi simboli ed espressioni rinnovandone il linguaggio, attraverso un design non interessato a piacere o ad assecondare  un’immagine stereotipata. La produzione messicana è ‘epidermica’ in quanto priva di un’industria consolidata, ma sempre più sono i progettisti maturi e consapevoli che comprendono il contesto, quelli capaci di imporsi all’estero sulla base di una cultura antica, creativa e ricca di tradizioni”.

 

DESIGN SOCIALE E SOSTENIBILITÀ PER IL FUTURO Emiliano Godoy

Da vent’anni impegnato in progetti che impiegano la sostenibilità come strumento per generare cambiamenti positivi nella società e nell’ambiente, Emiliano Godoy ritiene che la scelta ecologica non sia più solo un elemento di differenziazione sul mercato, ma una necessità strategica.

“L’uso di materiali che provengono da risorse in via d’estinzione o che impiegano sostanze tossiche non è solo irresponsabile ma anche rischioso”, spiega Godoy. “È la realtà di mercato che lo afferma più di qualsiasi ragione etica e filosofica. Il modello di business ‘attento all’ambiente’ ha tutta un’estetica, una funzione e un percorso sistemico da esplorare che mostreranno quanto obsoleti sono i nostri modelli di consumo e produzione”.

Godoy insegna design industriale al Tecnológico de Monterrey, è un membro dell’Abierto Mexicano de Diseño, un festival internazionale open-source di Città del Messico, e parte dell’advisory board di UNESCO/Felissimo Design 21 Social Design Network, una rete internazionale che esplora il design sociale come strumento per innescare il cambiamento, soprattutto in comunità ai margini.

“Molti intendono il design sociale, o design socialmente responsabile, come progetti rivolti a una categoria di svantaggiati o minoranze che, in Messico, contano il 70% della popolazione. Ma il design deve interessarsi non solo alle condizioni di partenza dei soggetti interessati, quanto all’impatto sulla società in generale.

Credo che il progetto debba essere rigenerativo per l’ambiente, innovativo a livello funzionale e tecnologico, attivo politicamente, equo economicamente, simbolicamente progressista, giusto socialmente e culturalmente appropriato. In questo modo la disciplina cessa di essere strumento per il business e ne diventa uno per la società.

Intervenire a livello sociale significa impegnarsi a costruire una comunità giusta ed equa economicamente. Uno degli ultimi progetti, con il laboratorio di produzione Tuux di cui faccio parte, è un padiglione a Tijuana che diventa luogo per produrre e fare formazione alla comunità dei deportati del Centro America dagli Stati Uniti, che sono circa 500 al giorno”.

Il Messico, dalla fine degli anni Settanta, ha subito una trasformazione: da Paese prettamente rurale a mercato per la componentistica di marchi transnazionali. Ciò ha causato povertà e sfruttamento della manodopera e un impoverimento del design, determinato dal fatto che le merci venivano prodotte e ingegnerizzate altrove.

Negli anni Novanta una nuova generazione di designer ha iniziato a creare le proprie imprese e ad autoprodursi, rivelando una dinamica scena progettuale che ancora non riesce, però, a uscire dai confini di una scala produttiva ridotta e di un target elitario.

“Ci sono due ambiti in cui il design può operare in Messico. Primo, in progetti che incoraggiano le capacità manifatturiere locali: il Messico possiede una delle più forti infrastrutture manifatturiere, è il primo esportatore di automobili e di TV a schermo piatto e il terzo di cellulari, pur non avendo niente a proprio marchio! Secondo, nelle iniziative d’impresa che coinvolgono le comunità più povere del Paese. La povertà non si combatte con la filantropia ma con programmi di business integrati che generano valore e prodotti per mercato interno”.

Godoy ha clienti internazionali come Nouvel Studio, Lamosa, Nanimarquina, EHV Weidmann e Gustavo Gili e vede nell’artigianato messicano una grande potenziale. “I processi artigianali come l’ebanisteria, la ceramica, la tessitura a mano, l’intreccio e il vetro soffiato sono ancora usati perché il design locale si è basato sulle tecniche a disposizione, ma l’apertura verso nuovi mercati e distributori esteri introdurrà nuovi processi e materiali: un respiro assolutamente necessario”.

Testo di Valentina Croci

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Emiliano Godoy firma per Pirwi il paravento Piasa con elementi ‘a squame’, che ruotando liberamente creano differenti configurazioni.
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L’interno ambientato di una casa prefabbricata in legno prodotta da Pirwi; in primo piano, una seduta che rende omaggio al legno curvato di Alvar Aalto.
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Una sedia dell’ultima collezione di Pirwi che abbina listelli di legno curvato a una struttura in metallo.
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Alejandro Castro/Pirwi
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La panca in legno massello Centipede disegnata da Hèctor Esrawe e prodotta da Pirwi.
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L’installazione urbana Mi Casa, Your Casa di Hèctor Esrawe presso il campus del Woodruff Arts Center di Atlanta
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Tavolini in ceramica e legno di quercia Ceramicables, autoproduzione di Hèctor Esrawe in collaborazione con Manuel Bañó, 2015.
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Los Trompos, installazione con elementi ruotanti realizzata da Hèctor Esrawe in collaborazione con Ignacio Cadena presso il Woodruff Arts Center, successiva a Mi Casa, Your Casa.
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Hèctor Esrawe
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Pedro y Pablo sono ciotole in vetro soffiato in uno stampo in pietra, realizzate da Emiliano Godoy con Nouvel Studio riducendo il consumo energetico del 99,1%.
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Il Pabellón Cultural Migrante di Emiliano Godoy, progettato da Tuux, è una struttura di accoglienza per i deportati del Messico e Centro America a Tijuana.
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Il Pabellón Cultural Migrante di Emiliano Godoy, progettato da Tuux, è una struttura di accoglienza per i deportati del Messico e Centro America a Tijuana.
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La seduta Snowjob di Emiliano Godoy è composta da una struttura in legno certificato FCS, trattato con finitura biodegradabile, e da un rivestimento realizzato con carte da packaging di caramelle riciclate. Il rinforzo interno è in carta riciclata post consumo.
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I materiali della seduta Snowjob di Emiliano Godoy provengono da Ecoist, un collettivo che coinvolge ONG, specializzato nell’upcycling delle materie di scarto.
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Emiliano Godoy