progetto di Toshiyuki Kita
foto di Maurizio Marcato
testo di Christoph Radl

Un giorno freddo, nevoso, a Osaka, il 31 dicembre 1984, incontrai la prima volta Toshiyuki Kita e non potevo non notare una sua sorprendente somiglianza con la Wink Chair, suo pezzo di design contemporaneo più famoso, disegnata nel 1979. Sorridente, mai un attimo fermo, curioso, vivace, simpatico, come appunto la Wink, che aveva per certi versi anticipato i risultati sensuali e colorati della ricerca per una nuova interpretazione del funzionalismo di Memphis.

Allora Kita mi fece vedere una sua nuova lampada, che era di carta, fatta a mano secondo la grande tradizione artigianale giapponese e mi raccontò che l’arte di fare queste carte, trasmessa da generazioni, stava per scomparire perché le nuove generazioni preferivano lavorare per la Sony o la Toyota o qualcun altro. Così Kita cercava di dare a questa piccola produzione di carte artigianali un nuovo sbocco, una nuova forma più contemporanea, un contributo per tenere in vita questa tradizione. Nel 2010 Kita ha acquistato e restaurato una casa tradizionale in legno a Sasayama, un piccolo centro tra le montagne della Hyogo Prefecture a circa 100 km da Osaka. Al piano terreno di questa casa c’è adesso una piccola galleria che propone oggetti e arredi disegnati da Kita e prodotti da artigiani che lavorano nel rispetto delle antiche tradizioni giapponesi la ceramica, la lacca, la carta e il metallo. Come sono nate le tue collaborazioni con molti esponenti dell’artigianato tradizionale giapponese? “Le mie conoscenze con rappresentanti dell’artigianato tradizionale giapponese risalgono alla seconda metà degli anni Sessanta, quando il settore era in grave declino e dominava il pensiero che ‘le cose vecchie non sono al passo con i tempi’. Un artigiano di Mino, produttore di carta washi, mi confidò di voler abbandonare la sua arte e io gli promisi di cercare qualche applicazione di washi nel mio lavoro; cosa che ebbi l’opportunità di fare quando andai in Italia e la usai nel design di alcuni apparecchi di illuminazione. In Italia era il periodo del boom dell’arredamento e la mia idea ebbe successo, tanto che a quell’artigiano cominciarono ad arrivare grandi ordini. Mi accorsi allora che una via per far sopravvivere l’artigianato tradizionale giapponese si poteva trovare e questo determinò la mia collaborazione con altri artefici, ad esempio quelli della lacca di Wajima e della ceramica di Arita. Aver deciso di fare del lavoro delle arti tradizionali il mio life work risale al successo di quel lampadario Tako in carta washi”. Mi hai portato a Sasayama, un luogo che è sconosciuto anche a molti giapponesi, e così ho potuto vedere che ha ancora un centro esteso di case tradizionali, costruite in legno. Cosa ti ha portato ad acquistare una di queste case e a ristrutturarla? “I prodotti dell’artigianato tradizionale sono in sostanza fatti per essere usati nella vita e quindi nello spazio abitativo o dove gli esseri umani interagiscono. Quindi l’ambiente è essenziale per la loro esistenza. Ma il continuo diminuire delle abitazioni costruite con la tradizionale architettura giapponese ha inferto al settore dell’artigianato un grave colpo. Un altro è stato dato dal fatto che i giapponesi, quasi tutti troppo occupati per potersi godere tranquillamente la vita, hanno finito per relegare in fondo agli armadi tutte le suppellettili e gli oggetti di arredamento che un tempo servivano a dare eleganza e preziosità ai giorni di festa e alle cerimonie della vita quotidiana. Il tratto caratteristico dell’abitazione tradizionale giapponese è il suo magnifico rapporto di equilibrio con la natura, come si può notare dalle differenze architettoniche delle varie zone del Paese che si conformano al clima e ai diversi fattori ambientali. Oggi si parla tanto di ecologia, ma in passato la gente ha sempre vissuto dando grande importanza alla natura e mi pare che ora sia necessario preservare sia le vecchie abitazioni tradizionali che il prezioso bagaglio di saggezza, di vita e di bellezza che troviamo in esse racchiuso”. Cosa accomuna il progetto di Aquos, il televisore che è alla base del successo di Sharp degli ultimi 10 anni e il progetto per la scatola in lacca che vendi nella tua galleria in questo Paese? “Io penso sempre a come cambierà lo stile di vita nel futuro. E infatti anche nel ristrutturare questa vecchia casa ho mantenuto l’esterno da abitazione ecologica che risale a più di cento anni fa, ma all’interno ho impiegato tecnologia avanzata per renderla confortevole. Nel 2003, quando andavano per la maggiore televisori in plastica nera o metallizzata, progettai una serie personalizzata custom di televisori a cristalli liquidi finiti come se fossero mobili, con cornici in cuoio, legno e lacca. Il televisore di questa vecchia casa è il modello in lacca di derivazione naturale e mi pare che vi si adatti bene. Natura e high-tech sono due concetti importanti nel mio futuro”.