Studio Architettura Sawaya & Moroni
Con D. Santoro, N. Alos-Palop, R. Lusciov
Local architect Sergei Padalko
Foto courtesy of SCF
Testo di Matteo Vercelloni
Quando nel 1780 il trentaseienne Giacomo Quarenghi, pittore e architetto bergamasco, arrivò a San Pietroburgo chiamato dall’Imperatrice Caterina che chiedeva ai suoi consiglieri di trovarle “deux bons architects italiens de nation et habiles de profession… car tous mes architects sont devenus ou trop vieux ou trop aveugles ou trop lents ou trop paresseux”, la presenza di architetti stranieri in città era già radicata, ma la richiesta dell’Imperatrice rivelava un desiderio di innovazione per l’architettura dell’urbe.
Quarenghi, quale architetto di corte, porta in Russia con sagacia e convinzione quasi ‘militante’ una forse troppo rigida interpretazione palladiana del neoclassicismo e promuove la totale conversione della zarina a tale linguaggio. Il procedimento del Quarenghi si basa su una metodologia compositiva di abile collage, di assemblaggio dei momenti eloquenti e simbolici della grammatica propria dell’architettura classica (i pronai, le lesene e le colonne, il timpano, le testate emergenti, l’impiego dell’ordine gigante) distribuiti sulla superficie ‘connettiva’ dell’edificio, che diventa sobrio sfondo che accoglie l’unità preconcetta e schematica di parti interdipendenti.
Il risultato è così un’architettura che gioca con le sue parti figurative e simboliche e rinuncia sostanzialmente all’invenzione tipologica, diventando autoreferenziale e impermeabile all’idea di considerare il fatto architettonico come momento fondativo della costruzione della nuova città neoclassica.
Ma ogni storia è fatta di eccezioni e l’opera che presentiamo in queste pagine, il mercato pubblico sulla Moyka del 1790, opera considerata ‘minore’, ma che aveva un tempo botteghe di delicatessen frequentate anche dai cuochi di corte, sfugge a tale percorso, proponendosi anzitutto come felice cerniera urbana.
La sua pianta triangolare dagli angoli arrotondati segna infatti lo spazio delle strade, risolvendo l’affaccio verso il fiume e offrendo una sinfonia unitaria delle sue parti; con i fronti continui privi di gerarchia, scanditi dalla successione degli archi regolari e con la piazza protetta, organizzata all’interno del perimetro architettonico.
A tale vocazione di architettura della e per la città si riconduce l’intervento a cura di William Sawaya che, nel riconnettere tra passato e presente il percorso del progetto italiano dell’edificio, di fronte ad un’opera abbandonata, segnata dal tempo e dalle superfetazioni, all’attento restauro conservativo dei fronti, riportati alla figura originaria, ha unito con invenzione nuove figure d’interni, trasformando anzitutto lo spazio centrale in corte vetrata coperta.
La nuova sede della SCF– la compagnia di trasporto marittimo che con le sue immense navi rompighiaccio lunghe 350 metri percorre ogni giorno la Northern Sea Route, la rotta navale di circumnavigazione continentale definita dalla Russia e alternativa a quella a sud dell’emisfero legata al passaggio dal Canale di Suez – è stata inaugurata la scorsa estate, alla presenza del Presidente della Duma Sergey Naryshkin, del Presidente della Federazione Russa Valentina Matvienko, del Governatore della città Georgy Poltavchenko e del Presidente e CEO della Sovcomflot Sergey Ottovich Frank.
Da segnalare è anche la procedura di concessione dell’edificio di proprietà pubblica, che è dato in gestione alla SCF per 50 anni, per poi tornare in uso all’Amministrazione della città e alle Belle Arti. Il progetto, riservando un angolo dell’edificio a cafeteria pubblica, accessibile anche dall’esterno in modo indipendente, distribuisce su quattro livelli gli uffici e la centrale operativa della SCF.
Diverse soluzioni di spazi di lavoro sono organizzate, evitando sia la tipologia dell’open space, sia il tradizionale corridoio distributivo impersonale, creando ambienti calibrati, avvolgenti e ricchi di attenzione al particolare e all’accurata palette materico-cromatica. Uffici che hanno saputo sfruttare al meglio le ampie aperture di facciate, reinventando quelle interne, rivolte sulla nuova corte coperta.
È qui che è stata organizzata la reception, un elemento architettonico compiuto emergente dallo spazio che lo accoglie, raggiungibile dopo avere superato l’ingresso, dove è stato conservato e valorizzato l’arco in mattoni faccia a vista. La nuova copertura vetrata è scandita da un sistema modulare metallico a maglia triangolare che ben si rapporta alla forma della corte.
I fronti sono stati aperti e ridisegnati con dei severi portali a doppia altezza che accolgono all’interno due nuovi elementi portanti metallici: pilastri ad “H” borchiati, ed esposti come forti elementi figurativi che ricordano, come i grandi oblò distribuiti negli spazi di connessione, il mondo navale della SCF.
Dalla corte interna si sviluppano le scale pensate come leggere strutture metalliche inserite in modo evidente, come nuovi segni contemporanei nell’edificio storico, illuminati con diverse tonalità di colore rispetto alle stagioni dell’anno. Sempre dalla corte interna si accede ai bagni esposti in modo scenografico, invece che essere celati, come nei consueti edifici per il terziario.
Qui Sawaya ha voluto ricondursi alla sua idea di classicità, in omaggio a quella palladiana del Quarenghi; l’ingresso ai bagni è anticipato da due grandi pareti a mosaico che raffigurano, rispettivamente per i bagni femminili e maschili, la Nike di Samotracia e il Discobolo di Mirone, icone di riferimento e memoria di ogni cultura classica.
ppia altezza che accolgono all’interno due nuovi elementi portanti metallici: pilastri ad “H” borchiati, ed esposti come forti elementi figurativi che ricordano, come i grandi oblò distribuiti negli spazi di connessione, il mondo navale della SCF.
Dalla corte interna si sviluppano le scale pensate come leggere strutture metalliche inserite in modo evidente, come nuovi segni contemporanei nell’edificio storico, illuminati con diverse tonalità di colore rispetto alle stagioni dell’anno. Sempre dalla corte interna si accede ai bagni esposti in modo scenografico, invece che essere celati, come nei consueti edifici per il terziario. Qui Sawaya ha voluto ricondursi alla sua idea di classicità, in omaggio a quella palladiana del Quarenghi; l’ingresso ai bagni è anticipato da due grandi pareti a mosaico che raffigurano, rispettivamente per i bagni femminili e maschili, la Nike di Samotracia e il Discobolo di Mirone, icone di riferimento e memoria di ogni cultura classica.
Matteo Vercelloni