Alla ricerca dell’imperfezione, dell’unicità della Natura all’interno di processi di realizzazione seriali.
Il raw design, ovvero la tendenza a progettare oggetti a crudo con materiali grezzi, è più di una moda: è una ricerca dell’essenza e della poeticità sottesa agli oggetti del quotidiano. In alcuni casi, il raw design reintrerpreta le tradizioni manifatturiere e rinviene materiali obsoleti. Si riconcilia con la Natura riprendendo forme archetipiche da un remoto passato rurale. Il raw design è anche un pensiero sostenibile che parte dallo studio dei materiali del luogo per proporre un modo alternativo di produrre: artigianale, a filiera corta, con costi ridotti e poche fasi di affinamento. Gli oggetti ‘crudi’ appaiono infatti senza mascheramenti e le texture delle superfici naturali sono esse stesse l’espressione della bellezza e dell’unicità dell’artefatto. Inconsueti ma tradizionali, compaiono materiali come il fico d’India, la luffa, la paglia di riso o il Capim Dourado, una fibra dorata che cresce nella regione desertica del Mina Gerais in Brasile. Partire dal materiale consente al designer di richiamare aspetti tipici di una cultura che nella globalizzazione tendono a essere appiattiti. È il caso del siciliano Vito Tripolone che insieme all’industriale Vittorio di Blasi ha realizzato lampade con una lamina di fico d’india. L’ispirazione è scaturita da alcuni manufatti ottocenteschi del territorio di Adrano (Catania) che impiegavano la pianta, enfatizzandone la caratteristica nervatura. Il progetto, dunque, si caratterizza nel luogo in cui nasce e ci riporta a memorie lontane. È il caso di Made of Chair, una seduta interamente in paglia di riso, realizzata dallo studio coreano beeeen & company. La seduta è resa stabile dalla cerchiatura in corda della base, mentre lo schienale è flessibile grazie all’elasticità della paglia, aggiungendo anche un inaspettato fruscio alle orecchie di chi vi si siede. Un’esperienza che coinvolge più sensi e disvela la poeticità della materia. Procede in modo analogo il messicano Fernando Laposse, il quale pratica un artigianato contaminato dal design che esplora il confine tra folk e contemporaneo. Gli oggetti di luffa, un frutto di cucurbitacee solitamente usato per spugne vegetali, giocano sulla texture traforata e traslucida in paraventi e diffusori per lampade, e sulla leggerezza del materiale in cuscini o riempimenti a vista. La luffa, se legata con il cemento o accoppiata con legno e altri materiali, acquisisce proprietà varie come la capacità isolante. Cresce abbondante nei climi tropicali attaccandosi verticalmente agli alberi. E se ne possono produrre fino a ottomila frutti per ettaro ogni sei mesi con poco dispendio di risorse. La luffa è quindi una conveniente alternativa al sughero e, per molti Paesi tropicali, può diventare una risorsa economica se se ne incrementano le applicazioni anche nell’ambito domestico. Dalla terra agli artefatti creando prosperità per la comunità locale. Questa la finalità della Coleção Jalapa, una serie di oggetti in Capim Dourado promossa da Marcelo Rosenbaum. Il designer brasiliano ha coinvolto le donne del Laboratório Piracema in un workshop per sviluppare usi alternativi della fibra. Infondendo competenze minime e sfruttando risorse abbondanti ma anche caratteristiche del territorio, una comunità povera si è resa autosufficiente. Sia che si tratti di situazioni svantaggiate che di Paesi ricchi, fare design significa anche attuare processi virtuosi e ipotizzare nuove economie. Dallo scarto del settore agricolo, di solito impiegato per la biomassa, Gionata Gatto ricava la materia prima per lampade realizzate a stampo. Il compound è realizzato con collanti naturali quali il Latex, la gomma Dammar e il Gamboge e ha un ciclo di vita di 8-10 anni, poi biodegradabile e compostabile. Trattandosi di materiale stagionale lasciato grezzo, il colore degli artefatti riflette le sfumature del costante cambiamento della Natura. L’approccio del raw design punta a creare consapevolezza sulla sostenibilità degli oggetti. A partire dal designer. Martinho Pita ha appreso la potatura del leccio portoghese per sviluppare la serie di lampade Bicho. La corretta tecnica consente da un lato l’efficace ricrescita della pianta, dall’altro lo studio della forma degli oggetti. La serie è infatti costituita da ‘creature’ monolitiche che sembrano muoversi al cambiare della prospettiva, ognuna diversa e unica. Anche il tedesco Johannes Hemann analizza la composizione del legno e progetta una tecnica di fabbricazione, rivisitando quella tradizionale del legno curvato al vapore. I rami recisi di fresco sono tagliati secondo le fibre e posizionati all’interno di stampi a U e poi essiccati senza subire trattamenti. In questo modo mantengono l’immagine del legno grezzo che contrasta con i piani d’appoggio in vetro o la pelle delle sedute. Sono quasi un fermo immagine della trasformazione da naturale ad artificiale le luci dell’olandese Floris Wubben che partono dal tronco d’albero, aperto in tre sezioni per plasmare la base e sfogliato della sua corteccia per creare il diffusore. Dal ramo alla lampada senza soluzione di continuità. I legnami impiegati sono scarsamente usati per motivi estetici, ma invece nascondono ricche possibilità di trasformazione. Il raw design riporta alla luce un patrimonio culturale emarginato, quello dei materiali poveri che non vengono più lavorati, oppure degli oggetti archetipici che ci riportano a rituali lontani a contatto con la natura. Raccontano questi temi i progetti del collettivo scandinavo Edition in Crafts che ha investigato le potenzialità estetiche ed espressive della paglia, e i cestelli da giardino dell’inglese Daniel Dopping, che con l’oggetto inaugura il marchio Gather, finalizzato a richiamare, non in chiave nostalgica ma di buon design, l’Inghilterra rurale. Un connubio tra natura e tecnologia senza snaturare, ma valorizzando le diverse identità.