L’ingresso principale da via Andegari, una strada semiprivata nel centro di Milano (come una ‘ruga’ di via Manzoni molto vicina al Teatro alla Scala), il cancello sulla via, il cortile patrizio nascosto dietro il muro, poi la conciergerie e le sale del piano terra, che, nella tavolozza dei cromatismi materici, tra marmi e boiserie lignee, punteggiature a losanghe, nuance giallo teresiano, rosso mattone e verde pastello richiamano il fascino delle dimore anni Trenta-Quaranta della grande borghesia. Villa Necchi Campiglio by Piero Portaluppi docet.
Per gli ospiti che arrivano da tutto il mondo a visitare la città di Expo 2015, l’indirizzo è quello del Mandarin Oriental Milan. Una new entry (proprietà del Gruppo Statuto). Gli altri ingressi, due, sono dalla parallela via Monte di Pietà: uno (in rosso) dedicato allo spazio bar e l’altro (in verde) per quello ristorante, che vivono anche indipendenti dall’hotel e risultano molto ricchi visivamente. Molto poco scaligeri, in realtà, per la città che privilegia l’understatement del segno, anche nella vitalità segreta di quei cortili-giardini che alla fine qui risultano tre, ascrivendo i due riservati proprio a questi esuberanti ambienti e attrezzati come luoghi esterni di convivialità.
Benvenuti nella complessità del progetto di Antonio Citterio Patricia Viel Interiors (project team: Ella Dinoi – project director, Francesca Carlino, Roger Colombo, Carmine D’Amore, Giuseppe Molteni, Macarena Paullier, Stefano Zeigner; lighting design Isometrix) che, recuperando e riconvertendo alle nuove funzioni quattro edifici storici del XVIII e XIX secolo (fra cui Palazzo Confalonieri), oggetto di vicende di ristrutturazione molto differenti, ne restituisce (soprattutto nei prospetti su via Monte di Pietà) ben riconoscibile la sequenza spazio-temporale e le specifiche appartenenze materico-cromatiche, mentre nuovi profili di metallo segnano l’infilata virtuale delle corti su cui si ancorano ora gli spazi pubblici, in successione fluida.
“Quando si lavora per una catena internazionale d’hotellerie, esotica nella fattispecie, quale il Mandarin Oriental di Hong Kong” spiega Patricia Viel “l’elemento di criticità resta quello di garantire all’ospite un’esperienza autentica in un ambiente che deve conservare una connotazione precisa rispetto all’identità del brand, ma anche rispetto al genius-loci locale”.
Questa, la ragione della doppia anima del luogo che esprime l’incontro culturale tra il rigore milanese, radice linguistica degli architetti, e la verve di un marchio che, in ogni location, dedica particolare attenzione alla spa, un settore d’eccellenza (nella fattispecie 900 mq – tra piscina, stanze per trattamenti fitness e salone di bellezza – articolati nel basement, all’insegna di un approccio olistico); così come agli spazi collettivi, sempre molto spettacolari.
Il progetto d’interni ha caricato di significati soprattutto l’ambiente del Mandarin Bar con il mega-bancone custom-made centrale, la profusione di marmi bianchi e neri, composti a mosaico, su pareti e pavimento, effetto optical, il soffitto specchiante riflettente che lo rende percepibile anche da fuori.
Altro punto di forza, il Ristorante Seta, cucina italiana guidata dallo chef stellato Antonio Guida. Qui la cromia di riferimento è il verde Guatemala dei marmi che incorniciano le finestre sul cortile e quello ottanio dei velluti delle poltroncine disegnate da Antonio Citterio.
Di contro nelle 104 camere (di cui 32 suite), che si articolano su 5 piani, l’intervento sceglie di cambiare registro: accoglienza, intimità, rappresentanza, declinano una neutralità soft per ispirare total relax e atmosfera ‘milanese’.
“Abbiamo riapplicato la sintassi di ieri nel lavoro di oggi, in una linea di continuità con la tradizione della casa borghese anni Quaranta-Cinquanta” commenta Viel. Così se nella hall, il protagonismo del camino centrale già evoca esclusività e allure residenziale e la pavimentazione in pietra grigia continuità con l’esterno, negli spazi privati la ricostruzione di un certo modo di disegnare gli interni si spinge alla sperimentazione.
Altri legni e marmi lavorati a mano e di provenienza italiana (eccezion fatta per il marmo azzurro-grigio del Brasile che riveste la sala da bagno della suite presidenziale), incontrano arredi tailor-made, nuove tipologie di tavoli su ruote, testiere imbottite, tessuti beige… e il valore aggiunto di due suite a tema, al primo e al secondo piano. Una sorpresa.
”Un’esperienza nuova, quest’ultima, per lo studio” osserva l’architetto “funzionale a rafforzare, all’interno del medesimo layout compositivo, un’interpretazione che cita due grandi maestri della nostra tradizione di quell’epoca: Piero Fornasetti e Gio Ponti. Agli antipodi, tra loro: il primo ricco di riferimenti immaginifici che si nutrono di personalissime evocazioni letterarie e fiabesche; il secondo teorico di geometrie e colori primari, puro rigore trascrittivo dell’architettura nel decoro”. L’interno si trasforma in un racconto. Ad maiora!
testo di Antonella Boisi
foto di Santi Caleca, George Apostolidis/courtesy Mandarin Oriental