“Ragionavamo insieme su schizzi improvvisati, in terrazza ancora cantiere, perché il disegno resta uno strumento potentissimo di verifica immediata. Era d’estate, per fortuna, e non nevicava, come quella volta che ci ritrovammo all’aria aperta, almeno cinque ore, nei dintorni di Verona, alla scelta di pietre e altri materiali di rivestimento per la casa rigorosamente italiani: avevo la faccia quasi paralizzata dal gelo, ma anche il carburante per raggiungere un risultato di qualità, dopo tre anni di lavori, con stima professionale reciproca”.
Inizia così il racconto di Massimo Iosa Ghini, progettista per il developer Vladislav Doronin (definito da Forbes uno dei King of Russian Real Estate) di una penthouse di oltre 600 mq con viste spettacolari sullo skyline della città moscovita, al top di una delle due torri di Capital Group, l’holding dell’imprenditore, firmate nell’architettura dallo studio americano Skidmore, Owings & Merrill, e nel disegno d’interiors di uffici e spazi comuni proprio dall’architetto bolognese che collabora con maestranze italiane altamente specializzate, nel gruppo Memphis con Ettore Sottsass e nel 1986, tra i fondatori del Bolidismo.
“La nostra conoscenza risale ai tempi dell’apertura del primo showroom Ferrari realizzato a Mosca” ricorda. “Doronin è un appassionato collezionista d’arte contemporanea e di design italiano. E intervenire in un volume vuoto, ancora in costruzione, sospeso oltre il sessantesimo piano, un cubo di 12 metri per lato, è stato molto stimolante a differenti scale progettuali” continua.
“L’ho ripartito su tre livelli, immaginando, a 6 metri di altezza, come centro geometrico della composizione, una stecca d’acqua, lunga più di 15 metri e chiusa da pareti di cristallo, che è diventata il perno visivo e distributivo dei due piani principali della casa. Il primo si trova a 7 metri circa dal piano teorico di base, quindi un po’ più in alto rispetto alla vasca, sotto la quale ho costruito un altro livello; sopra di essa, ne abbiamo creato un altro più contenuto”.
Il primo è stato destinato all’ospitalità (spazio ricevimento, guardaroba, due camere, stanze dei collaboratori domestici). Quello intermedio, l’unico a doppia altezza, al main living room con il camino “ispirato all’opera di Adalberto Libera a Casa Malaparte, anche se qui al posto del mare di Capri lo sguardo va al cielo e ad altre prospettive” precisa; un open space che integra zone pranzo, cucina, dispensa-wine cellar; incernierate, in successione fluida, intorno alla grande scatola trasparente ad uso piscina, comprese le zone dedicate al fitness (palestra, sauna e bagno turco), alla camera da letto personale con relative appendici (dal guardaroba al bagno) e allo spazio ospiti.
Come un elemento sospeso, dentro una struttura vetrata, il quarto livello accoglie, invece, l’ambiente studio di Doronin. Il quinto, il roof top, sarà trasformato in un miniedificio con zone bar e di servizio e coronato da un terrazzo attrezzato, fruibile durante i mesi caldi.
“Nel disegno del layout architettonico, ho avuto piena libertà” riconosce Iosa Ghini “prescrittivo Vladislav è stato soltanto rispetto agli spazi personali della palestra e dello studio. Molto condivisa è stata piuttosto la fase che ha affrontato in itinere la scelta e il posizionamento degli arredi e della collezione di opere d’arte, che contempla Andy Warhol, Julian Schnabel, Jean-Michel Basquiat, protagoniste già da sole.
L’interrogativo ricorrente su cui ci siamo confrontati è stato: dove metterle e in relazione con cosa. Ogni presenza andava, infatti, ben ponderata all’interno dello spazio, per restituire un dialogo dinamico ma equilibrato tra le parti, che evitasse l’effetto di un mini-museo ingessato e poco vitale, nonostante sia scrigno di oggetti preziosissimi. E in questo senso il progetto è diventato un’occasione importante anche per me, come costruzione di una modalità al tema della casa privata, che non è stato esercizio di stile standard. Ho scelto di lavorare con il colore dei fondali delle pareti, in tonalità neutre o di contrasto forti, per mettere in risalto i pezzi e con l’illuminazione, nascosta nelle pannellature lignee dei controsoffitti”.
In quanto agli arredi, accanto a quelli su misura, come la cucina, sono stati selezionati nei cataloghi delle major italiane, recuperati da antiquari e negozi di modernariato e tra alcune prime edizioni colte, da Gio Ponti a Franco Albini, da Ettore Sottsass a Melchiorre Bega. Di quest’ultimo, architetto bolognese, sono ad esempio le sedie della zona pranzo, originali nella struttura e nuove nel rivestimento.
“Mi piace alla fine constatare la magia che si è creata tra oggetti che, presi singolarmente, potrebbero risultare impegnativi. Nell’insieme invece si amalgamano in una dimensione di leggerezza che sembra casuale”. Proprio perché frutto di un estremo controllo.
Testo di Antonella Boisi – Foto di Massimo Listri