Foto di Helène Binet, Steve Double
Testo di Antonella Boisi

La prima delle opere glamours e fotogeniche presentate nelle pagine seguenti riporta indietro nel tempo.

Al Vitra Fire Station (1991-93) del Vitra Campus a Weil am Rhein, in Germania. Il primo grande progetto realizzato da Zaha Hadid, commissionato dal presidente del Vitra Rolf Fehlbaum.   Il primo esempio della potenza immaginativa e narrativa dei lavori dell’ex allieva e assistente di Rem Koolhaas, assurta a icona dell’architettura contemporanea. La prima donna architetto a vincere il Pritzker Prize nel 2004. Sullo sfondo restano gli anni di Baghdad, la lezione americana, la fascinazione dichiarata per Malevich e la pittura suprematista come fonte d’ispirazione progettuale.   Nel presente, la guida, con Patrik Schumacher, di uno studio London based (di circa 400 progettisti), impegnato in Europa, Stati Uniti, Medio Oriente, Cina, Russia. E, volgendo lo sguardo al passato prossimo, dalla scorsa estate c’è Prima Installation. L’omaggio di Swarovski che, per celebrare il ventesimo anniversario dal completamento della Stazione dei Pompieri del Campus Vitra, ha invitato l’architetto anglo-iracheno a pensare un’installazione architettonica ad alto impatto scultoreo.   Da collocare proprio davanti all’ingresso del nudo edificio in cemento armato da lei disegnato nel 1993, un intersecarsi serrato e articolato di superfici e piani obliqui lungo autonome linee di fuga ispirate dall’immagine del fuoco e della velocità. “Movimento congelato” l’aveva definito allora Hahid “tensione dello stato di allarme”. Ciò che metaforicamente rappresenta la recente opera site-specific: una struttura sfaccettata composta da cinque elementi poliedrici con spigoli vivi e piani inclinati, realizzata con materiali compositi e rivestita di una pelle in metallo lucidato e riflettente color canna di fucile.   Dimensione complessiva: 11 x 8 metri; con un peso a elemento variabile tra 300/500 kg. E con illuminazione led integrata tra i piani di seduta che ciascuno offre. Per analogia, richiama il dinamismo dei muri interni della Stazione, oggetto di una manipolazione spaziale che sembra farli scivolare gli uni sugli altri con grandi pareti scorrevoli.   Ha dichiarato al proposito Fehlbaum: “Pochi altri architetti sarebbero stati in grado di trasformare un lavoro tutto sommato modesto in un segno iconico. Non Zaha. Ciò si deve al suo incredibile senso dello spazio e alla sua visione radicale dell’architettura e di ciò che può rappresentare”. (Antonella Boisi)