“Credo che minimalismo non significhi solo progettare nel modo più semplice possibile, penso piuttosto che consista nel ridurre quanto permette di raccontare l’idea o il concetto principale di un prodotto. Questo approccio mi permette di focalizzare l’attenzione sulla storia che intendo comunicare”.

Con queste parole Daniel Rybakken, giovane designer norvegese – sicuramente uno dei più interessanti tra quelli nati negli anni Ottanta (1984) – condensa il suo linguaggio progettuale in un principio, riconducibile al termine di ‘minimalismo narrativo’, che lo distingue fortemente nel palinsesto internazionale della cultura del progetto.

La sintesi formale, in Rybakken, procede infatti di pari passo con la capacità degli oggetti di stupire attraverso l’emozionalità dei contenuti e l’innovazione tecnologica, peraltro mai sbandierata. Non è certamente un caso se tra i suoi principali riferimenti (ai quali si è indirizzato anche grazie alla guida del padre) figurino il lavoro di Dieter Rams per Braun e quello di Jonathan Ive per Apple, ma anche la poetica dal forte carattere figurativo dei fratelli Bouroullec.

Dopo un avvio da subito promettente, Daniel Rybakken è balzato agli onori della cronaca internazionale nel 2016, quando si è aggiudicato il Compasso d’Oro con il progetto della lampada Ascent per Luceplan.

Il design della luce è in effetti uno dei temi centrali nella ricerca del designer, che dichiaratamente punta a cogliere l’essenza dell’illuminamento naturale diurno per reinterpretarlo artificialmente “nell’aspetto e negli effetti per il subconscio”.

Ne scaturiscono così originali prototipi per la produzione di serie, ma anche edizioni limitate o incursioni nel mondo dell’arte attraverso installazioni fortemente evocative. Questo tema di progetto è proseguito nel 2017 con due nuove lampade, una per Luceplan e l’altra per Wästberg.

La prima, Amisol, nasce dalla sfida progettuale di realizzare un modello a sospensione generato da un volume ridotto al minimo ma capace di occupare lo spazio fisico in maniera generosa. La galassia della stanza è così occupata da un nuovo satellite artificiale: un profilo circolare in alluminio al cui interno è teso un film bianco traslucido o una membrana a specchio metallizzata, simile a una vela solare.

Una fonte luminosa a led da 50W proietta un forte fascio luminoso sul grande, leggerissimo disco, che reagisce sia diffondendo sia riflettendo la luce. I due elementi principali sono connessi attraverso una coppia di sottili aste metalliche: modificando la lunghezza e i punti di collegamento dei due fili di sostegno, la rotazione del disco può essere impostata in qualsiasi angolazione. Pochi elementi, combinati in maniera equilibrata, generano così un effetto incredibilmente scenografico.

Per Wästberg, Rybakken ha disegnato w172 bokeh, piccolo modello a stelo dall’immagine ectoplasmatica che gioca sulla forza espressiva del vetro smerigliato. Il gioco compositivo della lampada si basa sulla sovrapposizione di due componenti contrastanti: al centro un dissipatore di calore in alluminio industriale funge da elemento di raffreddamento della sorgente centrale a led ad alta potenza; all’esterno la campana in vetro opalino del diffusore lascia intravvedere il suo cuore metallico, mutando d’immagine a seconda che la lampada sia spenta o accesa.

Viste attraverso la superficie pura del vetro, le lamelle del dissipatore creano un gradiente di sfuocatura (o ‘bokeh’) e un effetto di ‘smaterializzazione’ verso il basso, con il risultato di rendere quasi viva, per quanto algida e impalpabile, l’immagine della lampada: una sorta di medusa stilizzata. In questo caso, la componente narrativa assume dunque una connotazione organicista.

Il recente incontro con lo storico marchio finlandese Artek costituisce una svolta nella traiettoria progettuale di Rybakken, segnando il suo debutto nel settore del furniture design. In realtà, uno dei due progetti per l’azienda finlandese, lo specchio 124°, costituisce la declinazione di una classe di oggetti già interpretata dal designer, anche se in contesti più strettamente legati al mondo dell’arte. Di questi precedenti progetti artistici Rybakken mantiene l’impostazione concettuale: una sorta di sfida ai comuni meccanismi percettivi legati alla riflessione della nostra immagine negli specchi. Comunemente, infatti, quando guardiamo uno specchio abbiamo già un’idea di quello che ci apparirà: la nostra mente nel subconscio calcola i percorsi della luce e costruisce l’immagine che ci può essere restituita.

In 124°, invece, due fogli in acciaio inossidabile lucidati a specchio sono disposti con una particolare angolazione a 124 gradi, che produce un effetto inaspettato: un riflesso doppio dello spazio circostante che può anche indurre la sparizione del soggetto centrale. “Ho un prototipo dello specchio appeso al lavandino del mio studio da quasi un anno, e ancora oggi rimango un po’ sorpreso quando non mi vedo osservandolo”, aggiunge Rybakken. Il racconto del design diventa così anche un po’ magico (e forse non poteva essere altrimenti, trattandosi di uno specchio).

Con il secondo progetto per Artek, Rybbakken entra definitivamente nel mondo del furniture, e lo fa rendendo omaggio a un progettista che di questo ambito del progetto è stato uno dei più importanti riferimenti (oltre che fondatore della stessa Artek): Alvar Aalto.

Il sistema di appendiabiti Kiila si basa su un giunto unico a forma di cuneo (in finlandese “kiila”), realizzato in metallo verniciato a polvere, su cui si innestano comuni aste in legno. Tutti i robusti e primari elementi costruttivi sono evidenti e dichiarati; si trasformano così da pure componenti tecnologiche in codici di un linguaggio essenziale.

Inventare un sistema di costruzione, piuttosto che disegnare singoli pezzi, è un modo di procedere caratteristico di Aalto: “C’è una logica molto evidente nella serie Kiila che riconosco anche nel design di Aalto”, precisa Rybakken. “Sono prodotti definiti nei parametri della fabbricazione industriale, destinati a essere parte di un sistema che può essere ripetuto”. La storia, dunque, continua…

di Guido Musante

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Daniel Rybakken tra gli elementi del sistema Kiila disegnato per Artek, composto da appendiabiti, attaccapanni, podio e panca in legno massello di frassino, metallo e MDF. La struttura robusta ed essenziale di questa famiglia di oggetti reinterpreta la forza primigenia del design nordico.
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Una possibile configurazione di Kiila.
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Lo specchio 124° realizzato sempre da Artek, una scultura minimale che gioca con gli effetti sorprendenti della doppia riflessione. Composto da una coppia di lastre in acciaio inox lucidato, è prodotto in tre varianti, tra cui una con mensola di legno integrata.
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La lampada w172 bokeh presentata da Wästberg. Le forme curve del dissipatore di calore e del diffusore si armonizzano nella parte superiore della campana di vetro, diradandosi verso il basso dove si traformano in ombre proiettate.
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La lampada w172 bokeh.
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La lampada w172 bokeh.
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La lampada w172 bokeh.
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Sviluppata con il nome di progetto Sol_03, Amisol per Luceplan è formata da un disco di alluminio di 75/110 cm di diametro, al cui interno è tesa una pellicola in plastica opalina, oro o argento. La testa di alluminio pressofuso ospita una fonte a led da 50W dimmerabile.