Se vent’anni fa ci fossimo dovuti immaginare il bonus pasto di un’astronauta nel 2015, lo avremmo disegnato in pastiglie colorate in ordine di sapore, oppure ridotto così all’osso negli ingombri da scomparire del tutto, magari sostituito da un microchip di quelli che ora qualche coraggioso (fanatico?) della dieta si appiccica alla pancia per addormentare gli stimoli della fame. Vent’anni fa il futuro era molto più futuristico e sconvolgente di quanto non si sia rivelato nel presente.
Nulla di tutto ciò che ci eravamo immaginati si è realizzato: nessun design del teletrasporto, nessuna macchina volante, nessun food design spaziale sintetizzato in pillole e barrette, nessuna Odissea aeronautica di quelle promesse cinematograficamente. Ma forse l’innovazione e la scoperta si stanno giocando su altri fronti. Per esempio quello che è accaduto nel settore food in questi anni è la dimostrazione di come il progresso si misuri non solo in termini di innovazione tecnologica avanguardistica ma anche di sofisticazione dei gusti, ricerca diffusa, consapevolezza allargata di un patrimonio condiviso con le scienze mediche, quelle agronome e ovviamente anche con la cultura del progetto, il design.
Al tempo stesso, il cibo diventa per il design uno dei terreni più interessanti con cui confrontarsi, perché alla dimensione esteriore, storica, celebrata della ‘mise en plat’ unisce la sfida degli ingredienti, le porzioni, la giustezza, i rapporti, gli equilibri, in una parola ‘il limite’ e porta questo risultato al confronto con il progetto grafico della comunicazione che dev’essere immediata ma accattivante, originale ma riconoscibile, ordinaria ma anche speciale perché tratta un contenuto che è – o dovrebbe essere – quotidiano e alla portata di tutti, inoculando nei gesti che lo riguardano (dal cucinare all’apparecchiare, dal servire al mangiare vero e proprio) una ritualità che oggi è al centro di una rinnovata attenzione.
Ecco perché il pasto dell’astronauta diventa un motivo di interesse per il design – e non è un caso che il bonus food di Samantha Cristoforetti fosse esposto insieme ad altri venti pasti del ‘soldato in azione’ nella bella mostra “Razione K” di Giulio Iacchetti, ospitata dalla Triennale qualche mese fa – perché condensa in un preparato ‘eccezionale’ tutti questi aspetti che con la comunicazione oggi siamo abituati a ‘masticare’: slow food, genuinità, ritualità, estetica, sperimentazione, misura.
In questi mesi la nostra astronauta si sta nutrendo con un menu che ha studiato lei stessa insieme a un giovanissimo chef, Stefano Polato, incrociando le sue preferenze (verdure, legumi, no grassi animali, no prodotti raffinati) con alcune proprietà obbligate come quella della liofilizzazione, della lunga conservazione senza alterare le proprietà organolettiche, dell’assenza di sale che va evitato per ragioni legate alla ritenzione idrica, di un regime cioè sostanzialmente il più sano possibile perché l’invecchiamento a cui si espone in questi mesi il corpo di Samantha è circa 10 volte quello che avrebbe a terra.
Il tutto, però, cercando di non contravvenire alla regola principale del gioco e cioè quella di fornire cibi familiari, rendere il pasto un momento di piacere e di restauro dei sensi, per quanto alcune modalità gestuali coinvolte inevitabilmente siano diverse da quelle domestiche (basti pensare quello che può comportare l’assenza di gravità nel portare il cibo alla bocca). Polato ha studiato per la Cristoforetti quattro piatti unici pronti e diversi altri ingredienti che l’astronauta può abbinare a piacere.
La ricerca e lo sviluppo del progetto sono avvenuti all’interno di Argotec, un’azienda ingegneristica aerospaziale torinese fatta di personale giovanissimo. Rispondendo all’ambizioso progetto affidatogli dall’Agenzia Spaziale Europea di diventare responsabile dello sviluppo e della fornitura dello space food per gli astronauti europei sulla Stazione Spaziale Internazionale, Argotec ha sviluppato autonomamente lo Space Food Lab, un polo per lo studio sulla nutrizione degli astronauti, che aveva già rifornito Luca Parmitano di lasagne spaziali, risotto al pesto, caponata, e tiramisù.
Il risultato laterale di questa operazione è anche un messaggio di corretta alimentazione, che arriva direttamente dallo spazio e, con un’intelligente operazione di marketing, è reso disponibile anche per chi ha i piedi per terra, con il sito di vendita readytolunch.com dove è acquistabile da parte di chiunque il kit del pasto areonautico.
Testo di Chiara Alessi