Foto di Michel Denancé
Testo di Matteo Vercelloni
Roland Barthes nel suo scritto La Tour Eiffel (Parigi, 1964) accanto alla lettura semiologica e simbolica della Signora di Ferro, sottolinea un carattere figurativo di riferimento dell’intera struttura; osserva Barthes a proposito dell’innesto a terra “l’inserimento esageratamente obliquo dei piloni metallici nella massa minerale; un’obliquità curiosa, nella misura in cui deve dare vita a una forma diritta, di una verticalità tale da assumere su di sé tutto il senso simbolico; quest’oggetto, definito dal suo essere perfettamente diritto, nasce dunque da forme «di traverso»”.
Nota ancora Barthes come durante il percorso ascensionale il visitatore si sorprenda nel “vedere come questa forma interamente diritta, vista da ogni angolo di Parigi come una linea pura, sia composta di innumerevoli segmenti, incrociati, accavallati, divergenti: operazione di riduzione di un’apparenza (la linea diritta) alla sua realtà contraria (un intrico di materiali spezzati), sorta di demistificazione consentita dal semplice ingrandimento del livello di percezione”.
A questo carattere compositivo del simbolo di Parigi, icona della Francia per il mondo intero, inaugurata nell’aprile del 1889 per celebrare il centenario della Rivoluzione francese e allo stesso tempo le magnifiche sorti e progressive della coeva Esposizione Universale, aspramente criticata da alcuni artisti e letterati del tempo, si riconduce il felice intervento al primo livello condotto con sensibilità contemporanea e ascolto della storia dallo studio Moatti-Rivière, risultato vincitore del concorso di progettazione accanto ai finalisti Rudy Ricciotti e Finn Geipel.
Edificio simbolico per definizione “monumento inutile e insostituibile”, come evidenzia Barthes nella sua magistrale lettura, la torre stabilisce “un rapporto sottile tra l’orizzontale e il verticale: anziché creare uno «sbarramento» le linee trasversali, per la maggior parte oblique o arrotondate, disposte ad arabesco, sembrano dare slancio all’elevazione; divorato dall’altezza, l’orizzontale non si appesantisce mai; le stesse piattaforme sono solo tappe per riposare; tutto si innalza nella Torre, sino alla guglia sottile che si perde nel cielo”.
È a tale tensione che occorre ricondursi per comprendere ragioni e figure definite dal progetto che presentiamo in queste pagine. Al primo piano, o appunto ‘piattaforma di sosta’, i tre padiglioni sospesi si sono avvicendati nel tempo con diverse soluzioni; da quelli originari fusi nella grammatica dell’arabesco di Eiffel a quelli del 1937 Art Decò di André Granet, sino a quelli di François Dhôtel rivestiti a specchio del 1981.
Si rendeva necessario tuttavia un aggiornamento anche di tipo funzionale per trasformare in una nuova esperienza la visita della Torre che proprio a questo primo livello, secondo Alain Moatti, “offre la vista migliore della città ad un’altezza di 57 metri dal suolo. Da questa quota si possono apprezzare tutti i monumenti parigini. Infatti il primo piano appartiene alla città, il secondo e il terzo fanno parte del cielo”.
Il progetto si basa sul rifacimento integrale di due dei tre padiglionie della conservazione del terzo, interessato dal recente progetto del ristorante 58 Tour Eiffel, conservato, ma rivestito esternamente seguendo le soluzioni compositive e le scelte materiche di quelli ex-novo, in modo da ottenere un progetto unitario e fortemente sinergico.
I padiglioni, interamente di struttura metallica con rivestimento esterno in alluminio anodizzato di colore rosso scuro (la tinta originaria della Tour Eiffel) con vetrate scandite da nuovi reticoli strutturali che ben si rapportano alla grammatica storica del monumento, sono collocati come i precedenti tra i grandi pilastri reticolari che disegnano la Torre.
Ai padiglioni si aggiunge il nuovo disegno degli sbarchi degli ascensori, inglobati in riuscite capsule architettoniche sempre di metallo e vetro, e la sistemazione della galerie pèriferique a fini museali espositivi. Ma, a differenza dei precedenti, i nuovi elementi del primo piano più che proporsi come piccole architetture compiute e sospese, ricercano con la Torre un legame di tipo nuovo; ne seguono l’andamento obliquo su tutti i lati, assecondando il movimento complessivo, l’andamento fluido e il ‘dinamismo stabile’ della massa statica che li accoglie.
Architetture oblique che si fondono con la geometria di Eiffel, i nuovi padiglioni Ferrié e Gustave Eiffel ospitano il primo funzioni commerciali, spazi di animazione e cafeteria, contenuti da brani museali tradotti in pareti-collage che riportano una selezione di oggetti legati al mito della Torre; il secondo accoglie invece una nuova e ambita sala congressi per cui è stata disegnata l’apposita sedia “nouvelle chaise Tour Eiffel”, di alluminio e impilabile, prodotta da Coedition.
L’andamento inclinato dei fronti interni che dalla base si piega in avanti, costruendo in sezione una forma romboidale, sottolineano anche il vuoto centrale incorniciato però da una nuova fascia di pavimentazione di vetro trasparente che offre al pubblico la sensazione di camminare tra le nuvole, in una dimensione ‘altra’.
“Sguardo oggetto, simbolo, la Torre è tutto quello che l’uomo pone in essa, e questo tutto è infinito. Spettacolo guardato e guardante, edificio inutile e insostituibile, mondo familiare e simbolo eroico, testimone di un secolo e monumento sempre nuovo, oggetto inimitabile e incessantemente riprodotto, essa è il segno puro, aperto a tutti i tempi, a tutte le immagini e a tutti i sensi, metafora senza freno; attraverso la Torre, l’uomo esercita la grande funzione dell’immaginario, che è la propria libertà, poiché nessuna storia, per quanto oscura, ha mai potuto sottrargliela” (R.Barthes).
Matteo Vercelloni