Come saper rendere emozionante la materia del progetto? In questo Ron Arad è stato maestro fin dagli esordi sul palcoscenico internazionale del design quando, artigiano-scultore, ha iniziato a modellare e realizzare da solo i propri pezzi in metallo one-off.
Il tempo ha fatto il resto, traghettando il suo laboratorio sperimentale nel disegno di oggetti funzionanti su scala industriale più che artigianale. La distanza temporale ha giocato a favore anche di questo spazio che, dimenticati scandali e cattiva fama ai quali le circostanze l’hanno relazionato, grazie a lui, è risorto a nuova vita. “
Ho una confessione da fare”, ha dichiarato l’architetto-designer anglo-israeliano. “La nostra iniziale attrazione per questo progetto è stata in realtà legata allo scandalo politico del Watergate di cui è stato teatro, che condusse alle dimissioni del presidente USA Richard Nixon nel 1974. A partire da queste suggestioni, è stato straordinario scoprire un luogo iconico dell’epoca che ha anche una grande legacy architettonica”.
Allo studio di Ron Arad è stato chiesto di ripensare gli spazi pubblici del Watergate hotel di Washington D.C.: duemila metri quadri articolati su due livelli, piano terra e interrato, che distribuiscono le zone foyer-lobby-ascensore dell’albergo, bar, sale-ristorante e terrazze esterne.
“Nel confronto con il preesistente, non si poteva ignorare il contesto”, spiega, “ma allo stesso tempo non intendevamo aderire ad alcuna operazione di mimesi. Abbiamo cercato di trovare qualcosa di complementare, ma, soprattutto, qualcosa di innovativo, in grado di ottimizzare sul piano funzionale ed espressivo le originarie curve di Luigi Moretti, l’architetto italiano che ha costruito l’edificio tra il 1960 e il 1965 all’interno di un complesso multifunzionale”.
I virtuosismi del tubolare metallico, scelto come materia d’invenzione, hanno sostenuto la sua visione creativa, configurando un nuovo mondo di sinuosità che, giocando su metafore material/immaterial, riconducono gli spazi a una dimensione dinamica e coinvolgente. Esperienziale.
Pareti, colonne e banconi, ripuliti dalla palette modernista morettiana di marmo e intonaco bianco, sono diventati in sostanza altro a livello compositivo ed estetico. Una nuova pelle. Onde di ottone patinato bronzo, rame e acciaio inox lucidato, che regalano a piene mani una tavolozza cromatica inebriante e calda, trame e atmosfere distese, in grado di accompagnare il flusso e i percorsi degli ospiti negli ambienti.
La loro realizzazione è stata affidata a un brillante produttore italiano, come di sofisticato made in Italy sono gli arredi di design che assecondano il regime di fluidità e apertura delle zone, sottolineato dalla continuità della pavimentazione in granito nero (nella lobby) e in legno tinto ebano (nella sala dining).
Un modo per sottolineare la coerenza delle parti in termini di polarizzazione e rigenerazione del luogo. Così, nell’isola bar, la cornice in acciaio inox che si confronta con la curvilinearità della parete, mettendo in scena una politica di 2.450 bottiglie di whisky dalla liquida luminosità ambrata, incontra il protagonismo di accoglienti imbottiti rossi e tappeti circolari in lana realizzati ad hoc su disegno.
Nella sala ristorante al piano inferiore, di contro, la colonna a doppia altezza rivestita in tubolare d’acciaio inox ritorto e lucidato a specchio ritrova il dialogo, oltre la vetrata perimetrale, con il paesaggio del fiume Potomac, le sue temperature e stagioni. E come un resistente albero della vita, nel rimando perpetuo di riflessioni, luci e colori, vortici e leggerezze sospese, sembra ricordare che tutto scorre. Panta rei.
Foto di Ron Blunt/courtesy Ron Arad Architects – Testo di Antonella Boisi



