Il design cinese contemporaneo unisce tradizione e futuro in creazioni che prendono forma sciogliendosi nel tempo
di Stefano Caggiano
Non esiste progetto senza un orizzonte filosofico di riferimento. Progettare vuol dire infatti avanzare un’ipotesi su come le cose “potrebbero essere” in contrapposizione alla mera registrazione di come sono. L’azione progettuale rappresenta quindi lo sforzo di trascendere lo stato di fatto per proiettarsi nel possibile, il che può avvenire solo sulla base di un’idea, una visione, un’interpretazione del mondo.
In questo senso, tanto l’Oriente quanto l’Occidente vantano vaste e importanti tradizioni filosofiche, che, pur nella varietà delle articolazioni interne, poggiano su loro quadri di riferimento fondamentali. Nel caso dell’Occidente, la ricerca filosofica si è concentrata soprattutto sul mistero dell’essere, nel caso dell’Oriente sulle implicazioni profonde del divenire.
Così, mentre la filosofia occidentale per pensare l’essere ha dovuto postulare il suo opposto, il nulla, il pensiero orientale si è sviluppato come una ‘mescola’ di essere e nulla in cui le cose non coincidono mai completamente con se stesse, in quanto nel momento in cui ‘sono’ stanno già divenendo altro.
Il progetto materiale (architettura, artigianato, design), ‘filosofia applicata’ che rispecchia le visioni del mondo che gli stanno dietro, ha dunque perseguito la via dell’affermazione formale in Occidente, e quella della sfumatura sensoriale in Oriente.
Così, laddove gli oggetti occidentali sono altrettante determinazioni di una sostanza rigida, ferma, scolpita nell’immanenza, gli oggetti orientali sono momenti di passaggio di una flussione che non può essere ingabbiata in disegno ma solo accarezzata da un pennello silenzioso.
La mostra Craft Transcendence, organizzata dal China Design Centre di Londra in occasione dell’ultimo Maison&Objet, illustra la specificità dell’approccio cinese rispetto a quello europeo. Le ceramiche di Zhiwei Xu, infatti, così come gli iridescenti piatti in rame del brand indipendente Wuxuantu (fondato dallo scultore Jianghong Jia e dal designer Shan Wang), sono oggetti equorei, vetrosi nella sostanza e nel senso.
Perché il vetro non è, come il mondo nella visione orientale, un solido, ma un fluido ad alta viscosità che anche se appare fermo e tangibile, in realtà scorre e sfugge. Nemmeno la luce riesce a fermarsi sulla sua immanenza, che mentre si dà è già trascendenza. Così le porcellane di Xiadong Bian, fatte di materia fluente, liquida, transeunte, rappresentano l’istante in cui la crisalide esce dal bozzolo, momento di metamorfosi da cui una forma emerge non come pietra scolpita ma come onda sull’acqua.
Oggetti all’acqua sono anche le porcellane, di sapore più tradizionale, realizzate da Mengya Zhang, decorate con un inchiostro che sfuma la compattezza cromatica in un blu in liquefazione, verso il divenire azzurro, poi bianco e poi nulla.
In maniera simile, le ‘rime d’acqua’ (Water Rhyme) di Cong Ma disegnano un motivo ornamentale astratto su sottili schermi divisori, ricamati a doppia faccia con i vapori dell’oro.
Nonostante l’evidente richiamo alla tradizione, sarebbe però un errore considerare questa ‘trascendenza artigianale’ come un atto di nostalgia nei confronti del passato. Al contrario, la sostanza fluida che dà – e toglie – corpo a questi pezzi di alto artigianato contemporaneo costituisce la materia più adatta ad accogliere lo spirito digitale che sempre più permea gli oggetti. Al pari di quella equorea, la ‘massa’ digitale esiste infatti solo nel divenire, non ha la pazienza della terra che riposa, ma l’evanescenza del tempo che gonfia le cose come il vento le vele.
Così sono le funzioni digitali che, evocate da applicazioni dedicate, si palesano solo nel momento in cui vengono evocate all’uso, per poi tornare a eclissarsi in remoto. Non stupisce, allora, rinvenire il sapore della diluizione digitale in pezzi come i vasi di Yaoyao Xin, o quelli di Ruiqi Dai, entrambi in aperto dialogo con le estetiche del ventunesimo secolo.
Ma è soprattutto in progetti come Emotional Jewellery di Sara Chyan e Digital Vessel di Zhang Zhoujie che il design all’acqua incontra il punto di fusione digitale. Da diversi anni, infatti, Zhang Zhoujie porta avanti una ricerca sulle possibilità della stampa 3D quale mezzo per l’esplorazione fluida delle forme, intese non come ‘fogge’ definitive, ma come flussioni in divenire.
Mentre Sara Chyan realizza i suoi gioielli ‘emozionali’ in gallio e bismuto per far sì che la temperatura corporea di chi li indossa ne cambi la forma. Traslandone la consistenza apparentemente solida in morfogenesi simbiotica aperta al tempo e al divenire.



