L’implementazione dei dispositivi digitali negli snodi più minuti della vita quotidiana sta dotando gli utenti di veri e propri ‘superpoteri’, che permettono loro di fare, sentire e sapere cose con un’efficacia impensabile nel mondo pre-digitale. Così, se da un lato l’ubiquità delle connessioni wi-fi mette a portata di click il flusso sociale dei ‘contatti’ di cui si desidera avere sentore, dall’altro la capillarità dei segnali Gps permette di conoscere la strada da prendere anche in luoghi sconosciuti, quasi si disponesse, in entrambi i casi menzionati, di una percezione ‘extrasensoriale’ della realtà circostante.

Non si tratta, qui, di semplici incrementi di performatività. Il genere e l’estensione dei prodigi digitali – con la loro natura touch-free, immateriale, ‘occulta’ – appaiono infatti simili a fenomeni misterici, il cui immaginario risulta essere non a caso una delle metafore preferite dal design nel racconto del mondo contemporaneo.

L’ultima design week di Milano ha confermato questa tendenza. Anzi, un primo segnale era giunto già qualche settimana prima, con la mostra Anno Tropico dei Formafantasma presso la galleria Peep-Hole, in cui Andrea Trimarchi e Simone Farresin hanno presentato una serie di oggetti a tema luminoso (che sarebbe riduttivo definire ‘lampade’) allestiti per sospendere, ispezionare, deframmentare la luce, e riorganizzarla lungo le traiettorie ottiche di geometrie armillari.

Venendo alla kermesse milanese, altrettanto preziosi nel segno ed esoterici nella struttura sono stati gli elementi dell’installazione The Double Dream of Spring di Michael Anastassiades per Herman Miller, tramite i quali il designer cipriota ha predisposto un teatro di presenze sottili che ha fatto dello showroom di corso Garibaldi la camera di risonanza di una dimensione parallela.

Anche la lampada Ora dell’australiano Ross Gardam, con la sua aura a metà tra il meccanico e il cerimoniale, e alcuni pezzi di Matteo Cibic per Bonottoeditions, vanno in questa direzione.

Il passaggio chiave per comprendere il senso di questo tipo di estetica, apparentemente fuori luogo in un’epoca a forte trazione tecnologica, sta nel cogliere la metafora del mistico come espressione poetica di quella sensazione di ‘prodigio’ che – espulsa dall’esperienza dell’uomo moderno a seguito dello sviluppo della scienza – si riaffaccia oggi al suo orizzonte come portato dell’evoluzione digitale della tecnica, aeriforme nella sostanza e portentosa negli effetti.

Ecco allora che la giovane designer messicana Rebeca Cors dà alle sue lampade Minimal la foggia di antenne extra-dimensionali volte a intercettare le forze arcane provenienti da un indecifrabile aldilà, che sembra esercitare i suoi effetti ‘in remoto’ come il cloud computing.

Questa idea di connessione pervasiva, resa reale dall’onnipresenza della connettività digitale, costituiva l’architettura portante del mondo magico, nel quale ogni cosa era collegata a tutte le altre tramite una rete di legami invisibili. Il mago era colui che sapeva avvalersi di questi legami per sortire gli effetti desiderati, sollecitando qualcosa qui per far accadere qualcos’altro là.

La figura dello scienziato, che sopraggiunge e sostituisce quella del mago, è invece di tutt’altro genere, in quanto mentre il primo non possiede la capacità di penetrare l’intima legge di causalità dei fenomeni che suscita, il secondo è in grado di sviscerarne il nesso causale stabilendo legami deterministici tra i fenomeni.

Come il mago, allora, e a differenza dello scienziato, l’utente digitale sa ‘evocare’ certi effetti voluti (gli output che fuoriescono dai suoi device sotto forma di informazioni, voci e indicazioni), tramite un’arcana danza delle dita (immissione di input) cerimoniosamente svolta sulla misteriosa tavoletta nera di un dispositivo touch.

È tutto questo che racconta, con la sua presenza finemente retrò, l’estetica ‘mistica’ di tanti oggetti che oggi emergono, e vivono con piena attualità, nel design contemporaneo. Oggetti come la lampada Gran Turismo di Davide Aquini e i tavolini 50×50 di Francesco Meda, che fanno da controcanto alla mancanza di fisicità della dimensione wireless impiegando in modo dichiarativo un materiale nobile e pensante, nonché imbevuto di tradizione arcana, quale il marmo, casi esemplari di un design che sa farsi interprete poetico di forze che sfuggono alle leggi della terra per porsi come àncora metafisica a cui vincolare – senza poterli mai controllare del tutto – i performanti e fuggevoli spiriti digitali.

Testo di Stefano Caggiano

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Paravento Solanio, di Matteo Cibic per Bonottoeditions. In ottone satinato e tessuto jacquard. Credit: Bonottoeditions.
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Tavolini modulari in marmo e ottone lucido, della collezione 50x50 di Francesco Meda. I piani, in onice rosso e tigre, sono accoppiati tramite un otturatore in ottone lucido.
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Lampada Gran Turismo di Davide G. Aquini, dedicata all’Alfa Romeo 6C 2300 Gran Turismo. In marmo e ottone, materiali tradizionali aggiornati con gusto minimal.
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Ross Gardam, lampada da tavolo Ora. Pezzi numerati in alluminio anodizzato e oro.
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Formafantasma, lampada Magnifier della collezione Delta, con struttura in ottone e luci a led. Produzione: Galleria Giustini Stagetti-Galleria O. Roma, Fonderia Artisica Battaglia, Frans Ottink/Studio Zand.
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Michael Anastassiades, installazione The Double Dream of Spring per Herman Miller in corso Garibaldi a Milano. Presenze sottili ed eleganti che sembrano pensate per arredare allo stesso tempo la dimensione reale e una dimensione parallela, invisibile ma avvertibile.