DI ANTONELLA BOISI

Architetto De Lucchi, è un privilegio firmare il ‘luogo per la custodia dell’io’ di Poltrona Frau, ambasciatrice di una storia centenaria, da Torino (quando è stata fondata nel 1912 da Renzo Frau) a Tolentino, nelle Marche, dove si trasferisce all’inizio degli anni Sessanta.

Quale concept ha ispirato il progetto? “Una premessa, doverosa: è il museo della Poltrona Frau, ha dunque tutte le promiscuità di un luogo, ritagliato in una porzione di 1400 mq., dentro lo spazio produttivo. Il fatto più positivo, su tutti, riguarda l’aspetto comunicativo: fa subito vedere che l’azienda crede in se stessa e nella sua storia. Poi c’è quello commerciale, perché attraendo un pubblico più ampio verso il museo lo veicola verso i propri prodotti. E, infine, quello culturale: ribadisce il valore, vissuto da dentro, della cultura aziendale, prioritario per lasciare nel tempo abilità e talenti”. Presidente Moschini, quali motivazioni hanno ispirato il progetto, quale il concept, e, di conseguenza, la scelta di Michele De Lucchi come ‘direttore d’orchestra’? “Riuscire a creare il museo di Poltrona Frau era un desiderio che rincorrevo da molti anni. La volontà era quella di rendere un omaggio a questo territorio, all’operosità e alla passione di quanti, ancora oggi, dedicano professionalità e competenze per tramandare e valorizzare una artigianalità colta. Con questo obiettivo in mente, Michele De Lucchi è stato il primo nome a cui abbiamo pensato. Michele ha una straordinaria sensibilità, oltre ad aver disegnato e lavorato per la Frau, associata alla capacità di decodificare i segni della tradizione e dell’artigianalità e di presentarli al pubblico con grande raffinatezza, semplicità formale e in un’atmosfera intima e calda. Il risultato del Poltrona Frau Museum è straordinario”. Nella sua visione, qual è il valore aggiunto di un museo aziendale rispetto al prodotto che rappresenta? “Un museo aziendale, come il nostro, ha la capacità di fare immergere il visitatore nel mondo di Poltrona Frau, di comunicare il contenuto storico, artigianale dei prodotti. Se il prodotto è la sintesi estrema dei nostri valori – qualità, artigianalità, dettagli, ricerca – il museo, invece, racconta con un linguaggio universale e immediato e fortemente emotivo la nostra storia, una bella storia italiana che diventa quasi per magia anche una storia dell’evoluzione del costume e del design italiano, e non solo”. Stessa domanda per lei, architetto De Lucchi … “In questa azienda, che i francesi chiamerebbero maison manufacture, soprattutto dimostra che il ‘saper fare manuale’ è fondamentale e tutto ha valore proprio perché è realizzato con cura artigianale, secondo modalità che si perpetuano nella storia, diventando una tradizione quasi di famiglia. Emblematica la foto esposta all’ingresso, dove si vede un padre che insegna a un figlio la tecnica di cucitura della pelle. Questo museo traccia poi la storia, assai delicata in Italia, del rapporto tra artigianato e industria che negli anni si è modificato, evoluto nel bene e nel male, però è un argomento molto importante per chi vuole riflettere sulla capacità manifatturiera italiana. Si lega a nicchie di produzione specifiche per territori: la lavorazione della pelle e del cuoio nelle Marche, delle sedie nel Friuli, del marmo a Carrara, del vetro a Murano… Un fatto tipicamente italiano che si è declinato nel nostro Paese come in nessun’altra parte del mondo. Però, mentre in Francia, dove l’artigianato è diventato soltanto sinonimo di lusso, esiste la Sovrintendenza dei Beni Culturali Viventi – con l’obiettivo di mantenere animato il ‘saper fare a mano’, da coltivare e insegnare alle nuove generazioni, da noi purtroppo non è così: esistono molti talenti, ma nessuno si preoccupa di valorizzarli. Ci si affida all’iniziativa privata. Questo racconto si percepisce tutto nel museo di Poltrona Frau: si legge nel modo in cui si è presentata negli anni, restituendo valenze molto più pregnanti del mero formalismo del bel design, perché trovano relazioni con le competenze dell’artigianato”. Il progetto culturale del museo ha previsto il suo coinvolgimento nella messa a punto dei contenuti di attività future, quali mostre ed eventi di architettura e design? “Sono intervenuto soprattutto per capire ed equilibrare i rapporti tra dimensione culturale e commerciale del museo, tra cimeli storici ed esposizione di prodotti ancora sul mercato. Ci voleva una ragione in più per costruire un luogo di attrazione esterno/interno all’azienda. È stata quella di riflettere sul tema del confronto tra artigianatoindustria e in qualche modo di utilizzare il museo come competence center, un caveau nel quale conservare i tesori di Poltrona Frau, che non sono i pezzi, bensì la capacità nel tempo di interpretare il mestiere dell’artigiano e di presentarlo come azienda”. Quali principi compositivi hanno guidato l’intervento? Quali i materiali e i colori utilizzati: in che modo e con quale intento? “Mi sono misurato con un’architettura industriale di stampo tradizionale: il classico capannone bianco all’esterno e tutto grigio in cemento dentro. Ho cercato di ascoltare un luogo silenzioso. Tant’è che la prima grande sala dell’accoglienza che si raggiunge, tramite una scaletta, è un’area speciale: una caffetteria e un bookshop che si affacciano sul piccolo cortile con le piante, un giardino-terrazzo nascosto da un muro rispetto allo stabilimento: una zona di relax inaspettata. Nell’area d’ingresso, si offre invece l’occasione di poter in un colpo solo ammirare tutta la grande competenza nella lavorazione e nella scelta dei materiali del brand. Ci sono la scritta Poltrona Frau e le sue parole-totem insieme a una sequenza di filmati. Le nove parole altro non sono che gli strumenti dell’azienda: l’ago curvo, i chiodini, il crine, la dima, il martello… oggetti che negli anni si sono trasformati per consentire al meglio le piegature, le cuciture, il fissaggio della pelle. I nove video sono invece racconti di gesti quotidiani: le fasi di lavorazione dei prodotti”. L’ alchimia di luce, trasparenze e fluidità che caratterizza quest’area di attrazione, comunicante con il piccolo chiostro interno tutto bianco, ritorna negli altri spazi del museo? “Il museo vero e proprio è stato pensato come un teatro, dove la scenografia si affida a una serie di torri di diverse altezze che utilizzano il sistema costruttivo delle quinte dei palcoscenici: un telo ecru semitrasparente teso su una struttura in legno grezzo. La torre più alta è di otto metri. Nell’insieme, tra grandi e piccole, diventano sei lanterne fuori scala, illuminate dall’interno, imponenti ed eteree al tempo stesso, che accolgono la vita di Poltrona Frau divisa in ventenni. Ciascuna ospita un pezzo emblematico del periodo, collocato su una pedana anch’essa fatta di un materiale elettivo per l’epoca e messo in luce da un lampadario d’antan. Ogni ventennio è poi circondato da una costellazione di altre icone, che riuniscono mobili scelti come interpreti dello spirito dei tempi. Affiancati da vetrinette espositive con documenti originali e inediti”. Quanti prodotti sono esposti nell’insieme? “Circa una sessantina, molti appartenenti alla collezione privata di Franco Moschini. La mostra storica si completa con due sale, una dedicata ai grandi progetti contract realizzati con archistar internazionali (che annoverano nove Premi Pritzker) e l’altra all’Interiors in motion, ovvero agli interventi nel settore dei trasporti – treni, aerei, yacht, automobili. Con la Ferrari in primis, oggetto di lunghe soste con irrinunciabili fotografie da parte dei più giovani”. Come si è declinato lo studio illuminotecnico per ‘accendere’ e potenziare le differenti scene? “Si è tradotto in un gesto ‘quasi naturale’: ‘sparata’ dall’alto delle torri, la luce risulta quasi mistica, assolutamente impalpabile, preziosa, magica. Non cogli da dove arriva. Non riesci a mettere insieme con lo sguardo corpo illuminante ed effetto luminoso. Diventa apprezzabile per quella che è. Senza combinarla con nessuna razionalità e spirito di catalogazione. Perché, alla fine, per dirla come i poeti sufi, la luce è fatta della stessa materia di Dio”. Presidente Moschini, come viene articolata l’attività del museo (aperture, eventi, dibattiti, incontri) e a che pubblico si rivolge? “Il museo, uno dei pochissimi realizzati nel settore dell’arredamento, si rivolge a un pubblico molto vasto. Architetti e designer, studenti, appassionati di design e di costume, consumatori finali e tutti coloro che sanno apprezzare quell’eccellente artigianalità italiana riconosciuta in tutto il mondo. È per noi uno strumento di lavoro e sono felice che sia stato intitolato a mia madre Stella Moschini”.