L'opera di Fabio Novembre per Venini è un omaggio alle avanguardie artistiche di inizio Novecento e alla poetica metafisica di De Chirico

“Nel 1916, per sfuggire all’atroce follia della guerra, un gruppo di ragazzi si fece ricoverare nel centro medico militare di Villa Seminario a Ferrara. Quei ragazzi si chiamavano: Giorgio De Chirico, Carlo Carrà, Alberto Savinio e Filippo De Pisis. Il rifiuto della realtà li portò ad elaborare una realtà alternativa che chiamarono Metafisica. Un mondo fatto di muse e di enigmi, di inquietudini e di incanti”.

 

A quei giovani artisti e a quella corrente che ha contribuito alla definizione delle avanguardie di inizio Novecento è dedicata l’opera Muse, nata nelle fornaci di Venini dalla collaborazione tra Fabio Novembre e i maestri artigiani dell’antica vetreria di Murano.

 

Muse è una collezione di sculture luminose che riprende le poetica Metafisica: come per De Chirico, anche per Novembre il manichino da sartoria, freddo, rigido, privo di emozioni, prende il posto di un essere umano apparentemente inespressivo. Tuttavia, con le pose che assume e il ruolo che gioca nello spazio, il manichino trasmette comunque stati d’animo di inquietudine e di solitudine, anche in funzione del colore che lo caratterizza. L’oggetto artistico che ne deriva è enigmatico, silenzioso, straordinariamente evocativo.

 

Il vetro opalino viene soffiato dai maestri delle fornaci Venini all’interno di una struttura metallica reticolare come nella tradizione della lanterna veneziana: l’energia sapientemente controllata è impressa alla materia prima e si alterna alla precisione della lavorazione manuale, per raccontare la capacità del vetro di tendersi nonostante la presenza di una matrice indeformabile.

Presentata in tre varianti di colore, erba, lattimo e rosso, in onore dell’eccellenza made in Italy, la collezione Muse è proposta in edizione limitata di solo nove pezzi per colore.

La base della testa è in marmo di Carrara bianco per offrire un ulteriore richiamo all’esperienza artistica classica, da cui gli artisti metafisici attingevano con generosità. 

 

gallery gallery
Silvia Damiani e Fabio Novembre

Senza entrare nella querelle – l’architettura di un museo deve essere secondaria o meno rispetto ai contenuti? (pensiamo al Guggenheim Museum di Frank Lloyd Wright a New York) – bisogna dire che al MUSE di Trento, il nuovo museo delle scienze firmato Renzo Piano, l’appetito culturale della macchina museale e l’ascolto sensibile del luogo hanno davvero trovato un equilibrio compositivo e narrativo.

Come un bravo giardiniere, l’architetto genovese, da tempo attivo sui temi “della fragilità della Terra”, già progettista dei musei delle scienze di San Francisco e di Amsterdam, ha infatti trovato i semi giusti del buon raccolto. La sua opera determina la qualità del contesto quanto un allestimento spaziale flessibile ne legittima il contenuto scientifico, con risposte precise e concrete nelle forme e nei volumi. “Il MUSE, museo naturalistico quanto scientifico, offre un viaggio dentro la biodiversità e il ‘vuoto’ è il suo fulcro. La soluzione della gravità zero fa si che da qualunque spazio espositivo lo si osservi, è visibile anche tutto il resto. Perché il museo resta un luogo ‘vivo’, dove la conoscenza e ricerca delle relazioni tra uomo e ambiente possano promuovere scelte future di sviluppo sostenibile” ha spiegato Piano. A questo progetto ha iniziato a dedicarsi dieci anni fa, con l’idea di trasformare il concept del museo Tridentino di Scienze Naturali di matrice ottocentesca in un moderno centro di divulgazione ad alto grado di spettacolarizzazione del dato scientifico, condiviso con la formula della multimedialità e dell’interazione. Non sorprende che la sua ‘montagna’, il sogno realizzato dell’uomo di mare, 12.000 mq sviluppati su cinque piani fuori terra più due interrati, restituisca la leggerezza di una barca a vela, in grado di interpretare le suggestioni che il museo è in grado di trasferire con le sue opere naturalistiche tramite un esempio di costruzione ecosostenibile di riferimento per tutta la città. “Non ci sono confini tra natura e scienza, come non ci sono tra differenti discipline, o tra dimensioni universale, globale e locale” ha aggiunto Piano. E il progetto dialoga con i messaggi che il museo intendeva comunicare, con una valenza etica prioritaria: lega la sua presenza culturale all’interno del territorio del Trentino, facendolo diventare parte integrante del progetto espositivo, luogo di aggregazione e scambio di prospettive condivise, sorta di agorà. Il MUSE svolge infatti il ruolo di centro di gravità del polo culturale trentino e del suo network di musei. Si trova in una zona industriale della città bonificata che si riappropria dopo 160 anni del fiume Adige: l’ex area Michelin che rivive nel nuovo quartiere Le Albere, modello green di edilizia eco-sostenibile (10 blocchi che integrano residenze, uffici, terziario, in un’ottica non monofunzionale) firmato sempre dallo studio Piano. E di cui il MUSE è il fiore all’occhiello. Un’attenzione verso la cultura ambientalista, supportata dalla comunità locale, sottolineata dall’abbraccio del parco pubblico che funge da elemento connettivo dell’intera area (a nord caratterizzata anche dalla preesistenza del Palazzo delle Albere, dal 1987 sede del Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto). Sottolineata anche dalla presenza dell’acqua che, in forma di canale, la attraversa tutta da Sud a Nord, duplicando, come riflesse in uno specchio, le forme del MUSE vibranti di luci e di ombre, nella loro successione di porzioni piene e vuote materializzate in una figura spezzata segnata da due grandi falde inclinate della copertura convergenti in pianta, una rivolta verso nord-est e l’altra verso nord-ovest. La forte riconoscibilità di questi elementi architettonici, in parte opachi con finitura zinco e in parte in vetro trasparente, determinano il profilo del corpo di fabbrica, ispirato a quello delle montagne circostanti, scandendo per analogia il percorso espositivo della mostra permanente in discesa, dall’alto verso il basso, dai ghiacciai al fondovalle, con un racconto delle peculiarità dei differenti habitat al cambiare di latitudine. Lo scarto creativo ulteriore è costituito dal fatto che allo sviluppo verticale, richiamante la dimensione naturale del territorio, si affianca il percorso orizzontale dell’edificio che produce un viaggio tra zone alpine e resto del mondo, tra sensibilità locali e impegno globale, all’insegna dello sviluppo sostenibile. Così la costruzione narrativa non si esaurisce al livello zero dell’ingresso che rappresenta il museo nel vuoto centrale corrispondente alla grande falda chiusa dalla copertura vetrata del lucernario su cui affacciano le differenti sale espositive. Luogo di forza del progetto espositivo, perché, come avviene in natura, all’interno di questo spazio alto 18 metri, che crea una continuità visiva tra i livelli fino all’interrato dedicato alla serra tropicale (l’habitat di una foresta pluviale in Tanzania), fluttuano nell’aria animali tassidermizzati su pedane e scheletri di dinosauri, sospesi con cavi sottili d’acciaio agganciati al soffitto o al pavimento, secondo il concetto di zero gravity. Da qui, ad est della lobby d’ingresso, si accede infatti alla caffetteria, alla biblioteca-mediateca, agli spazi dedicati ai bambini, ai laboratori e alla conoscenza in forma di esperienza multisensoriale diretta. Infine, al corpo di fabbrica con la cosidetta ‘facciata verde’ che ospita, negli ultimi tre livelli, gli uffici. L’effetto di trasparenza e immaterialità dell’allestimento caratterizzante l’area principale della lobby è comune a tutto l’edificio, supportato dagli arredi (dai tavoli agli espositori, dai ripiani ai monitor, tutti realizzati appositamente su disegno) e rimarcato dall’uniformità dei materiali di costruzione locale adottati per i rivestimenti: pietra verdello con finitura bocciardata e listoni di bamboo massello (di produzione italiana) per i pavimenti, vetro traparente o opacizzato per i piani verticali. E tanto il disegno del dettaglio arriva fino ai nodi in acciaio dei serramenti, quanto la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico del complesso sono veicolati dalle tecniche costruttive, con un generoso ricorso a fonti rinnovabili (pannelli fotovoltaici lungo le falde di copertura, sonde geotermiche a supporto del sistema di teleriscaldamento). Con un sistema automatizzato di brise soleil e di tende comandate da sensori di temperatura e di irraggiamento; con una cisterna per il recupero delle acque meteoriche (utlizzate per l’irrigazione della serra e dello specchio d’acqua circostante). Non è poco considerato che, grazie alla collaborazione con il Distretto Tecnologico Trentino, il progetto ha già raggiunto il livello Gold di certificazione Leed.