Progetto di Michele De Lucchi
Collaboratori Davide Angeli, Greta Corbani, Alessandra De Leonardis, Greta Rosset, Laiza Tonali, Alessandro Ghiringhelli
Foto di Tom Vack
Testo di Antonella Boisi

Uno, due e tre.

Dopo la boutique di Milano, in via Sant’Andrea, e dopo lo spazio di Hong Kong, rinnovati di recente secondo il nuovo design concept realizzato dall’architetto Michele De Lucchi con la supervisione di Rossella Jardini (dal 1994 direttore creativo della casa di moda italiana fondata nel 1983 dallo stilista Franco Moschino), è la volta del flagship store di Roma, 1.200 mq su due livelli, nel cuore della città eterna. Con un’intervista a due voci, abbiamo chiesto a De Lucchi e Jardini che peculiarità caratterizzanti hanno percepito in questo spazio e come si sono espresse sul piano architettonico, simbolico e narrativo. Michele De Lucchi: “Le dimensioni, innanzitutto. È uno spazio molto più grande degli altri, prima dell’intervento di ristrutturazione formato da tante unità abitative e commerciali messe insieme che a Roma coesistono e si confondono spesso, nella natura stessa di un tessuto urbano e di una morfologia edilizia che è tutta un percorso labirintico a differenti quote di case, ballatoi, scale, cortili, giardinetti. Sono partito dallo spirito del luogo, dall’atmosfera delle ‘cose’ sedimentate, sovrapposte, senza mai prevederne necessariamente un esito definitivo. L’eternità di Roma deriva da questa mentalità, da ricerche spesso incompiute. Della location mi ha subito sorpreso il carattere ‘da catacomba’ di certe murature che qua e là, a pezzi, emergevano sotto strati di cartongesso chiamati a rettificarne le irregolarità; fatte di quei mattoni molto sottili e larghi, glabri, lanceolati (diversi dagli standard regolari più alti e spessi) che sono propri della romanità e di tecniche costruttive antiche. Ripulite da interventi posticci e sovrastrutture, rappezzate e sistemate sono state riportate all’identità originaria, così com’erano in principio per recuperare spazio, la cosa più preziosa, anche in una superficie nella sua interezza generosa”. Rossella Jardini: “In questo senso, resterà un negozio unico, che non potrà ripetersi altrove. Ho sempre detto che mi piaceva l’idea di una boutique diversa dall’altra per rispettare le città e i genii-loci. E rispetto per il contesto e le necessità di rappresentazione del brand qui convivono magicamente”. I muri sono un punto forte dell’intervento. Oltre, come si è definito e costruito questo palcoscenico d’eccezione dove mettere in scena collezioni e invenzione? M.D.L.: “Pensandolo come un percorso spaziale mai noioso e monotono, un paesaggio di montagna che cambia continuamente prospettiva durante il cammino. Passo dopo passo, c’è sempre qualcosa di diverso da vedere e da scoprire, che ti spinge ad andare avanti. È il suo fascino. Ciò che invita a entrare in uno spazio molto profondo, una parete cieca lunga quasi 50 metri, un’unica vetrina-cannocchiale su strada e che ti porta in fondo fino al cuore del negozio, dove si trova una nicchia espositiva discreta e silenziosa, giocosa metafora di un’abside ammantata di spiritualità. Nell’insieme, sembra di entrare in una stanza infinita, dilatata dall’uso degli specchi e dal fuori scala di certi elementi d’arredo, come la mega poltrona a righe bianche e nere che troneggia in vetrina”. Insolita la presenza così protagonista del legno in uno spazio-moda. Passione, ossessione, necessità di sperimentare e comunicare qualcosa? M.D.L.: “Per me il legno, che ha sue qualità estetiche e intrinseche, profondità formale e sentimentale, è segno della contemporaneità, dello spirito dei tempi, è ecologia, è sentire la natura necessaria per la nostra sopravvivenza. Rappresentare e comunicare al mondo questa nuova sensibilità è fondamentale: a breve saremo più noi a occuparci del pianeta che non il pianeta a occuparsi di noi”. Rossella Jardini: “Personalmente adoro più gli specchi che metterei ovunque, ma amo tutto quanto disegna Michele, dai vasi alle lampade, e l’ho conquistato dicendogli che poteva fare tutto quello che voleva. Altrimenti non avrebbe mai accettato di progettare il negozio”. Cosa è la memoria in uno spazio moda e come si mantiene viva in un mercato che lavora per cancellare affezione ad abiti e oggetti, considerato il loro continuo proliferare? M.D.L.: “Ho abbracciato il punto di vista di Vasari, che diceva che innovare è guardare all’antico svecchiandolo. Le stanze sono sempre stanze, le poltrone sono poltrone, i tavoli sono tavoli. È il punto di vista che fa la differenza e muove una tensione estetica. In questo spazio c’è la memoria dell’avanguardia: gli anni 80 di Memphis, l’idea delle cose fuori posto, del rovesciare le regole, della sistemazione inusuale. Dettagli e sorprese. Come il pavimento che diventa soffitto, con pannelli laccati lucido bianco e nero dalla classica forma a trapezio e il soffitto che diventa pavimento realizzato con doghe in rovere ossidato grigio. Come l’illusione del gioco a specchi, degli armadi infiniti che sono nicchie in rovere totalmente rivestite di specchi che infrangono e dilatano lo spazio, imbrigliando nel loro paesaggio artificiale le serigrafie, le luci nascoste disegnate con tecnologia led, gli arredi in bronzo formati da tavolini di differenti dimensioni sovrapposti da vetrine e mensole”. Rossella Jardini: “E proprio in questi giochi di sfalsamento progettuale ritrovo memoria della filosofia di Franco Moschino, che diceva che non c’è nulla da inventare, perché è tutto bello e ancora più bello purché al posto sbagliato. Fuori posto”. Prossimi step in termini di aperture e obiettivi? Rossella Jardini: “Riadattare con modalità specifiche questo concept, a Milano, in via della Spiga, a Shanghai, Mosca, Macao, Abu Dhabi”. Una personale riflessione sul significato di etica ed estetica riferita al mondo-moda? Rossella Jardini: “Un negozio bello è invitante. Entri e apprezzi i suoi contenuti che acquistano plus valore. E il bello si crea con un’atmosfera rilassante, silenziosa, non ostentata in termini di lusso, di palette materica adottata e segni d’effetto. Un’atmosfera che ti fa star bene. L’estetica poi per me è una cosa che una persona ha o non ha. Pensare al proprio abito è come pensare alla propria casa, i primi luoghi dove abitiamo. Nella mia c’è l’accostamento di molte cose differenti, ricordo tanti pezzi di Gio Ponti e di Fornasetti. Se uno ci pensa potrebbero stridere tra loro, però l’insieme è armonioso, mi riconosco e mi appartiene”. M.D.L.: “In quanto all’etica, mi piace sottolineare che, nonostante possa sembrare contro natura, la moda è il luogo dove si legge con maggiore chiarezza. Perché la moda è, nella sua essenza, trend, guardare avanti e muoversi verso il futuro, con una grande propensione verso l’evoluzione. E se non c’è etica in questo percorso non si va da nessuna parte”.