Progetto di Paolo Caputo 
Strutture e impianti SC Engineering, Galatina 
Foto di Enrico Colzani
Testo di Alessandro Rocca

L’architettura si può fare in tanti modi diversi ed è compito del progettista leggere e interpretare le occasioni professionali per sviluppare approcci e strategie ad hoc.

Un esempio di questa flessibilità, necessaria per cogliere le opportunità di ogni situazione, la troviamo nel modo di operare di Paolo Caputo, docente di progettazione del Politecnico di Milano ma anche professionista molto attivo che ha firmato, per esempio, parti consistenti del nuovo quartiere di Santa Giulia a Milano. A oggi l’edificio più importante di Caputo è il grattacielo della regione Lombardia, disegnato insieme allo studio newyorkese Pei Cobb Freed & Partners, che rappresenta una sintesi tra l’high-tech anglosassone e il progetto urbano di matrice milanese. In questo caso, per l’appunto, passiamo dal downtown al cuore della penisola salentina dove Caputo recupera una masseria abbandonata da decenni. Formato da un corpo principale, ottocentesco, e dalle stalle costruite in anni più recenti, l’edificio ha una forma a “F” con il lato maggiore affacciato sul giardino con piscina, cucina e sala da pranzo all’aperto, orto e uliveto. “Data la bellezza e la semplicità di questa architettura, spiega Caputo, mi sono limitato a rimettere in funzione gli ambienti utilizzando materiali locali, a ripristinare i soffitti a volta, che in parte erano crollati, e a ridisegnare porte e finestre riproducendo gli infissi, ormai inservibili, che ho trovato nella masseria”. Una strategia conservativa che mira a mantenere l’atmosfera dell’edificio rurale, un obiettivo raggiungibile grazie alle dimensioni generose e alla tipologia semplice e ripetitiva, con i corpi di fabbrica formati dalla semplice enfilade di grandi stanze ricoperte dalle volte in conci di tufo scialbato. “Ho seguito un’idea di domesticità e di naturalezza anche nel rapporto tra gli oggetti e la struttura”, dice Caputo, declinando un arredo composito che combina artigianato etnico e design contemporaneo, inserti d’arte e oggetti d’affezione. “Ho fatto largo uso di elementi prodotti in Marocco, spesso realizzati su mio disegno”, spiega Caputo, “che si inseriscono nella casa come testimoni di un’idea di mediterraneità allargata che comprende anche il Nordafrica. D’altronde, il Salento è stato sempre un mondo aperto al mondo, una terra di transito, di incontri e di mescolanza etnica e culturale. Da qui partiva, ai tempi delle crociate, l’ultima tratta del viaggio verso Gerusalemme e qui il melting pot è un fatto profondo, radicato e naturale”. Incorniciati dai muri in blocchi di tufo e dai pavimenti in pietra di Lecce, materiali tipici della campagna salentina, gli arredi raccontano di mondi lontani che spaziano dal Marocco alla Cecenia, dallo Yemen all’Afghanistan, dall’Italia settentrionale alla Francia. E di epoche lontane, con il tavolo da pranzo del ’600, di antiquariato tosco emiliano, che si circonda delle poltroncine Louis Ghost, in versione Black, disegnate da Philippe Starck per Kartell, mentre in cucina la grande lampada di Fontana Arte sormonta con delicatezza un tavolo di artigianato emiliano del ’900. Negli esterni, che qui sono altrettante stanze all’aperto, vince la tradizione, i muri in tufo, i pavimenti in pietra di Cursi e la piscina che recupera la vasca di raccolta dell’acqua racchiusa da un bordo in pietra di Soleto. Nelle corti e nel giardino si mantiene e si aiuta la presenza della vegetazione legata alle tradizioni locali: il gelsomino e le rose abbelliscono l’ingresso, le agavi sui cornicioni rafforzano l’effetto mediterraneo così come le palme della corte di ingresso. Dietro la piscina, oltre il prato, qualche ulivo su terra rossa anticipa il paesaggio dell’infinito uliveto che, oltre il muro di cinta, si estende sempre uguale e in ogni direzione, per chilometri e chilometri, a ricoprire per intero la penisola salentina.