Ultimamente sono molti i progetti di contract, soprattutto per ufficio, che fanno uso dei nuovi codici estetici nati in ambito domestico. Si tratta di una tendenza dalla portata ampia, che riflette un’evoluzione generale nel modo di vivere e concepire il lavoro.

Da attività circoscritta a luoghi e tempi ben definiti, infatti, l’esercizio della professione si sta trasformando in un flusso nebulizzato mescolato a quello, altrettanto nebulizzato, della vita privata, tramite tecnologie di rete che permettono di svolgere ogni genere di attività in remoto, indipendentemente dal tempo e dal luogo in cui ci si trova.

Non sorprende, dunque, che il design sia al lavoro per dare un corpo a questa delocalizzazione pulviscolare di vita e lavoro, e che lo stia facendo attraverso l’adozione di soluzioni estetiche che costituiscono a loro volta la risposta della domesticità alla trasmutazione digitale del quotidiano.

Quegli stessi volumi oversized, quegli stessi segni esatti e minimali, quegli stessi colori soffici e rassicuranti con cui i designer stanno riempiendo da qualche tempo fiere e showroom, li ritroviamo allora anche in progetti di complementi d’arredo per ufficio come il divisore autoportante Parentesit di Lievore Altherr Molina per Arper, ispirato alla geometria bidimensionale degli interni tradizionali giapponesi.

O come il separatore tessile Focus prodotto dallo svedese ZilenZio e disegnato dallo studio Note per garantire al professionista dell’era digitale la possibilità di ricavarsi una bolla di pace ovunque si trovi: idea nata, spiegano i designer, “dalla nostra esperienza di progettisti e nomadi che si trovano a lavorare negli hotel e nei caffè, in cui abbiamo spesso la sensazione che le persone abbiano bisogno di qualcosa che le aiuti a creare un proprio spazio personale”.

Proprio questo è il punto: venuta meno la divisione tra sfera personale e sfera professionale, tempo pubblico e tempo privato, ciò di cui i nomadi digitali hanno bisogno è un’infrastruttura dolce e diffusa che garantisca loro un segnale wi-fi stabile e l’aroma costante di caffè nell’aria, ovunque si trovino e qualunque cosa stiano facendo.

È questa la realtà che incontra il nuovo contract, corrisposta da soluzioni come i divisori fonoassorbenti BuzziBlinds di Alain Gilles per BuzziSpace, che rende l’atmosfera leggera e ritmata, duttile ma non dispersiva, adatta a supportare tanto il tempo del lavoro quanto, idealmente, quello di un privato vissuto nelle modalità del nomadismo digitale.

Non siamo più, o siamo sempre meno, solamente al lavoro, così come non siamo più, o sempre meno, solamente a casa. Il passaggio, si diceva, è epocale: quella condizione metropolitana mobile di cui parlava Andrea Branzi ne La casa calda, coincidente con il flusso sociale delle merci, è oggi trascesa in una nuova dimensione eterea in cui i flussi sociali e professionali vengono smistati lungo le stesse vie di rete, tra le quali ciascuno nuota da solo ma in perenne connessione con gli altri.

Il contract, trovandosi al centro di questo cambiamento, è destinato ad assumere un ruolo sempre più incisivo nella messa a punto di nuovi linguaggi del design, nella misura in cui si presta ad accogliere tanto le istanze delle nuove professionalità (in particolare quelle del terziario digitale), quanto quelle di una domesticità “agile” e interpretabile, non necessariamente legata alla casa ma in transizione continua dal living al coworking, dall’abitazione all’internet café, dall’ufficio alla sala d’attesa di un hotel o di un aeroporto.

In questo contesto aeriforme prende forma un proposta come quella della lampada a soffitto AK 2 di Uli Budde & Ivan Kasner per De Vorm, elemento lanoso che scende dall’alto a disegnare una prossemica del lavoro aerea e sospesa. O come il divisorio a forma di foglia Eva, presentato dagli spagnoli di Muka Design Lab allo scorso Salone Satellite di Milano.

Mentre l’eleganza grafica del set di elementi d’arredo Moving Tatamis di José Lévy per Daiken, ispirato ai mobili tradizionali giapponesi, pur essendo pensato per la dimensione domestica si pone in perfetta continuità con i casi di contract presentati sopra. Il che, oltre a non essere un caso, è altamente sintomatico.

Venuta meno la distinzione tra vita privata e lavoro, infatti, viene meno anche la divaricazione estetica tra ambiti del design, che oggi presenta nel contract come nel living, nel prodotto come nel visual, gli stessi colori pastello, le stesse raggiature esatte, gli stessi tagli anatomici tersi chiamati a dare un senso materiale alla connettività ubiqua che tutto ingloba e tutto diffrange.

Testo di Stefano Caggiano

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Lampada divisore AK 2, disegnata da Ivan Kasner & Uli Budde per De Vorm. Realizzata in PET ottenuto da bottiglie di plastica riciclate, smorza i rumori creando un’area personale tranquilla. Foto: De Vorm.
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Con una struttura architetturale di taglio geometrico, la parete divisoria autoportante Parentesit di Lievore Altherr Molina per Arper permette di ricavare spazi adatti sia alla concentrazione che alla collaborazione negli ambienti di lavoro. Foto: Marco Covi.
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I pannelli per l’insonorizzazione acustica BuzziBlinds, di Alain Gilles per BuzziSpace, donano allo spazio ritmo a modularità, permettendo di regolare il livello di privacy a seconda delle necessità.
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La collezione Moving Tatamis è una raccolta di ideogrammi d’arredo disegnati dal francese José Lévy per Daiken, che sperimenta l’utilizzo del tradizionale tatami giapponese nella realizzazione di complementi d’arredo.
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La collezione Moving Tatamis è una raccolta di ideogrammi d’arredo disegnati dal francese José Lévy per Daiken, che sperimenta l’utilizzo del tradizionale tatami giapponese nella realizzazione di complementi d’arredo.
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La caratteristica forma a foglia del divisorio autoportante Eva di Muka Design Lab sembra alludere metaforicamente a un’antenna wi-fi ‘naturale’.
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Il divisore tessile Focus, disegnato dallo studio Note per ZilenZio, consente di incastonare una zona personale fluida all’interno di uno spazio pubblico.