Mentre il design europeo (soprattutto italiano) ha sempre mantenuto uno stretto rapporto con il mondo dell’arte, il design d’oltreoceano ha perseguito una via più pragmatica al progetto, dando vita in anni recenti al cosiddetto design thinking.
Certo, le due tradizioni non sono mai state ‘pure’, e hanno anzi spesso trovato momenti di felice ibridazione. Tuttavia va rilevato come nelle ultime tendenze si venga precisando una loro convergenza del tutto inedita, che, in maniera spontanea, individua nella pulizia formale l’esito di una ricerca che è tanto estetica quanto di ottimizzazione cognitiva della fluency d’uso.
Particolarmente interessanti appaiono, da questo punto di vista, le nuove esperienze di design per la terza età, come la collezione No Country for Old Men di Lanzavecchia + Wai e, più di recente, gli arredi per il bagno disegnati da Monica Graffeo per Ever, la cui semplicità formale, unita a un’immediata evidenza d’uso, è pensata per andare incontro alle esigenze di un’utenza ampliata.
Anche la collezione d’arredo Wise prodotta dal marchio Very Wood (gruppo Gervasoni) punta a valorizzare il senso dell’abitare per la persona anziana, sia dal punto di vista funzionale che da quello estetico.
Ciò che questa attenzione agli stadi più avanzati della vita mostra non è solo il (peraltro doveroso) sforzo del design verso un abbraccio ‘inclusivo’ nei confronti dell’utente. La persona anziana, caratterizzata da un generale indebolimento della capacità pratiche e cognitive, rappresenta infatti un vero e proprio extreme character, un ‘utente estremo’ di quelli utilizzati nelle metodologie di design thinking per forzare l’esplorazione di possibilità d’uso latenti negli oggetti.
La finitura ‘cognitivamente levigata’ che caratterizza il design age-friendly, derivato dal layout user-friendly delle interfacce grafiche, fornisce allora risposta a un bisogno che non è solo della terza età ma di tutte le età del nuovo millennio, esposte a un panorama oggettuale sempre più digitalizzato dove cresce in maniera proporzionale il bisogno di relazionarsi con oggetti limpidi nell’aspetto e tersi nella concezione.
L’odierna evoluzione dei linguaggi del design ci dice proprio questo: che, a differenza di quanto si aspettavano i più tecnofili, lo sviluppo del corpo dell’oggetto non sta andando verso prodotti dotati di interfacce complesse e multifunzionali ma, al contrario, verso oggetti esteticamente semplici che, seppur dotati di ‘superpoteri’ digitali, sono tendenzialmente monofunzionali, privi di livelli di complessità evidenti e sempre connessi allo sfondo di oggetti parimenti semplici e ‘aumentati’ che ne definisce l’ecosistema di riferimento.
Nello scenario che così si viene definendo non il singolo arredo o prodotto ma il parco oggetti nel suo insieme costituisce un’interfaccia ambientale distribuita all’interno della quale gli oggetti sono come altrettante icone o app, di per sé semplici ma connesse a uno sterminato ecosistema di servizi e funzioni.
Va in questa direzione il lavoro di Yves Béhar, efficace nel digitale quanto nell’arredo, e del tutto coerente con progetti pensati specificamente per i bisogni della terza età, come il set di piatti e posate Eatwell della giovane Sha Yao, che aiuta le persone affette dal morbo di Alzheimer, o come l’erogatore di pillole Doll di Quentin de Coster, organizzato secondo la logica della matriosca.
E proprio una matriosca è, in fondo, la vita, le cui età più avanzate non seguono ma ‘contengono’ le età precedenti. Si comprende allora perché Denise Bonapace, con il progetto di maglieria Senz’età, pensa l’abito non come segno ma come struttura tessile evolutiva, age-specific, che ‘comprende’ (in tutti i sensi) il corpo di chi la abita ridefinendone il senso di abitudini e posture attraverso il flusso delle età.
di Stefano Caggiano