L’esempio, che fa riferimento alla sua lampada a sospensione Falkland creata nel 1964 e tutt’ora in produzione nel catalogo Danese, appartiene, assieme al “vetro da chimica che può diventare un vaso”, alla coperta che può diventare un mantello… ad una riflessione sul riciclaggio.
Considerando alcuni progetti recenti, può rappresentare non solo un esempio di trasformazione, ma anche l’illustre precedente di una ricerca sul tessuto utilizzato come pelle flessibile per dare forma ad oggetti d’arredo. Gli arredi della Serie Spaziale di Lanzavecchia+Wai, presentati nel 2010 alla settimana milanese del design, discendono per via diretta dall’apparecchio d’illuminazione Falkland. L’ossatura è una leggera struttura metallica, mentre il corpo è costituito esclusivamente da un tessuto elastico in tensione che dà agli oggetti una dimensione mutante: gli arredi si deformano per aderire alla sagoma del contenuto, offrendo una potenziata capacità di contenimento. Nella mostra Pelle d’asino, allestita da Patricia Urquiola con Martino Berghinz ad Abitare il tempo di Verona nel 2006, il lavoro dello studio Urquiola, come rivela l’allusivo titolo preso a prestito dalla famosa fiaba di Charles Perrault, era proposto come riflessione sulla pelle dei progetti. La principessa della fiaba che cambia la sua identità, celandosi dentro una pelle d’asino, è efficace metafora di quanto il rivestimento tessile sia determinante nella definizione delle forme e delle sembianze degli oggetti; di quanto le possa rendere cangianti, abbellendole, ammorbidendole, modificando la loro tattilità e di conseguenza il loro percepito. Anche le lampade della collezione LuxLuxLux di Dunja Weber+Cécile Feilchenfeldt, proposte al salone Satellite 2010, hanno una leggera armatura metallica rivestita con una speciale mischia di nylon, elastane e filo gommato. La tessitura, simile al tulle, messa a punto da Cécile, è aggiustata in pieghe morbide e irregolari che danno agli apparecchi una sagoma variabile ed instabile, d’aspetto vaporoso, come un tutù da danza. Nella serie Dressed up Furniture, proposta dallo studio coreano Kam Kam, lo spesso tessuto in feltro che riveste interamente le strutture in legno, cucito addosso con dettagli sartoriali come i cinturini che fungono da chiusure, muta la consistenza degli oggetti: ciò che è normalmente duro, diventa morbido. Le sagome dei contenitori, in genere squadrate, con angoli al vivo, acquistano profili smussati e una immagine più amichevole. Vestire quanto normalmente viene proposto nudo cambia l’identità. L’abito non è più una finitura, ma interviene nella definizione della sostanza del prodotto. Analoga la proposta di Sigrid Stromgren (Satellite 2010), anche se in questo caso la parte tessile, imbottita e arricchita da una lavorazione tipo capitonnè, non è un abito calzato su una forma, ma una componente strutturale: le ante del mobile. La Coiling Collection, proposta alla galleria Fat di Parigi nel novembre 2010, rappresenta un capitolo della ricerca dello studio londinese Raw Edges, interessato all’utilizzo strutturale di materiali tessili non convenzionali. Lunghe strisce di feltro (in totale 326 metri) vengono arrotolate in forme tridimensionali per dare corpo a vari elementi d’arredo. Una faccia del feltro mantiene la sua originaria morbidezza, mentre l’altra, per dare consistenza ai rotoli, è saturata con il silicone. La realizzazione è assimilabile alla tecnica sartoriale del bondage: una fasciatura che muta la silhouette. Nel caso della poltrona Spook dello studio berlinese Iskos, presentata alla Fiera di Stoccolma (febbraio 2011), il feltro è aggiustato sulla sagoma in pieghe morbide con una tecnica simile a quella sartoriale del moulage, determinando una inedita variante formale. Infine, il mutamento d’identità può dipendere anche dal pattern tessile. È il caso del pouf Tattoo di Cerruti Baleri, con stampa fotografica cactus. Quest’ultima versione (2010), immaginata sempre dallo stilista/designer Maurizio Galante, è talmente veristica da indurre le persone a sincerarsi che non punga prima di sedersi!