foto di Marcela Grassi
testo di Antonella Boisi
Come interpreta l’abitabilità Benedetta Tagliabue, italiana based Barcellona, architetto di notorietà internazionale, alla guida dello studio EMBT dal 2000, anno della morte di Enric Miralles, marito e partner di realizzazioni che hanno lasciato il segno sui palcoscenici del progetto? Uno sguardo a 8 Flats Low Cost Renovation Barcellona, 2013, è illuminante.
Non stiamo parlando delle sue opere pubbliche più note: il Parlamento scozzese a Edimburgo, il restyling per il mercato di Santa Caterina a Barcellona, il Padiglione spagnolo all’Expo di Shanghai, struttura d’acciaio rivestita da pannelli in vimini, per cui ha ricevuto il RIBA (Royal Institute of British Architetcs) International Awards 2010. Stiamo parlando di un progetto ‘privato’ realizzato in economia: la ristrutturazione di un edificio nel Barrio Gotico di Barcellona ricomposto con otto unità abitative, taglio variabile dai 40 ai 110 mq, pensate per studenti, single, piccoli nuclei familiari. Un intervento meno complesso di altri che comunica una grande cifra. “E’ l’idea di casa come luogo di conforto, accoglienza, relazione con l’esterno, perché non c’è differenza d’approccio tra scale d’intervento, dal cucchiaio alla città, dal pubblico al privato, dal masterplan agli interni ai mobili” spiega Tagliabue. “Non mi interessa la specializzazione. L’architettura per me è un’esigenza morale: un processo migliorativo dell’esistente per far stare meglio il fruitore di uno spazio, di un luogo, di una città” continua. “Perché se ci si confronta meglio con una dimensione si diventa più educati in termini di percezione, di gusto, di stati d’animo, di apertura verso l’esterno. In fondo, lo spazio pubblico è un’estensione dello spazio vitale della casa. E il pacifismo di una città coincide con il pacifismo dell’abitare. In un rapporto biunivoco: entrambi sono luoghi di civiltà”. È il concept-slogan Better city-better life del Padiglione spagnolo all’Expo di Shanghai che distilla il senso della sfida per l’architettura di Benedetta che crede in una costruzione etica-estetica fondata sul connubio tra innovazione e valori della memoria. Si legge appieno, per analogia, proprio nella bonifica-riforma di questo edificio catalano che versava in cattive condizioni, sospeso tra i labirinti delle pietre gotiche, rinascimentali, barocche sbrecciate, permeato di resti storici ereditati dalle ricostruzioni dopo i bombardamenti e gli incendi in città. “L’esigenza prioritaria è stata portare luce dentro una sequenza di spazi, con la luminosità di una spelonca. E, diversamente dal solito, è stato un intervento disegnato quasi tutto in cantiere: elaborati scarsi, un team di artigiani fidati all’opera, dal muratore al fabbro, dal falegname all’elettricista, nella logica di ottimizzare le risorse del luogo e di recuperare il valore di umili tecniche, riciclando tutto quanto fosse possibile. Questo per restituire l’identità di un edificio denso di materiali ed elementi costruttivirappresentativi dell’architettura tradizionale catalana. Una scoperta e un divertissement: sono stati ritrovati elementi originari come archi gotici, frammenti di affreschi sulle pareti, mattonelle di ceramiche e cotto sui pavimenti, travi in legno sotto strati di calce” racconta. Il rinnovamento ha coinciso con il rifacimento strutturale del tetto e con la pulizia-riparazione del fronte lapideo su strada, ritagliato da un’infilata di piccoli balconi in ferro lasciati com’erano in origine, che incorniciano porte-finestre e finestre dagli infissi nuovi. Gli interni degli otto appartamenti sono stati completamente ridisegnati nell’articolazione spaziale perché diventasse il più possibile aperta e continua, anche nei collegamenti distributivi comuni. Respiro e luce, questi gli obiettivi: “La maggior quantità di luce possibile, che in questa parte della città è una carenza atavica”. Punto di forza del progetto: nuove partizioni in legno e policarbonato che integrano, in modo flessibile, pareti e porte con una geometria variabile di quinte leggere e trasparenti, vere e proprie finestre interne. E sempre il legno, di pino, è stato adottato per costruire gli essenziali banconi e gli elementi basic delle cucine. Dopodiché, nelle scelte degli arredi, tutto si è affidato alla creatività dei fruitori. “Questa sovrapposizione di elementi architettonici storici e nuovi diventa dinamica, perché l’edificio agisce come uno specchio che riflette i segni, le forme e i passaggi del tempo. Nella pelle dell’involucro. Sui muri, il bianco dà l’ordine, le strisce di colore portano tutto il passato, la sua varietà e nuove texture” conclude Tagliabue. Così come le piastrelle colorate recuperate dei pavimenti ricordano il modernismo catalano, la ricchezza di gusti e tradizioni dell’architettura di Barcellona, città polifonica per storia e vocazione.