Quai Rambaud, Lione.

I molteplici sguardi sulla sponda del fiume Saône, nel contesto post-industriale di docks ed edifici industriali del vecchio porto, tra capannoni con nomi che sanno di vissuto e atmosfera dura, la Sucrière, les Douanes, les Salins, la Capitainerie, abbracciano la vista del ‘cubo arancione’. Le Cube Orange, headquarter della società immobiliare Cardinal Group e dello showroom RBC, progettato (2005-2011) dallo studio di architettura francese Jakob + MacFarlane e sviluppato da VNF (Voies Naviguables de France) in partnership con Caisse des Dépôts e Sem Lyon Confluence, è parte di un significativo intervento di recupero e riqualificazione del sito. Le sue facciate nuove di zecca si compongono come una trama di patterns pixelati dal rugginoso colore arancio. Una pelle che, nella finitura cromatica, richiamerà anche la vernice al minio, tradizionale antiruggine adottato nelle zone portuali in virtù della resistenza all’umidità, ma certo non evoca un decadimento fisico della materia. “Anzi, il tutto aspira a riprodurre il moto fluido del fiume Saône con materiali di ultima generazione, pannelli di alluminio digitalizzati perforati al laser e finiti con speciali termolaccature” precisano i progettisti. Gli esempi di bonifica di porzioni portuali depresse nelle città internazionali non mancano; basti pensare al Marina Bay Sands di Singapore o allo Shanghai Port International Cruise Terminal, concrete opportunità progettuali volte alla rivitalizzazione di territori con peculiarità differenti. Però, nella fattispecie, il plus di questa architettura sperimentale è rapportabile proprio al modo sensibile in cui sono stati trattati materiale e colore della sua pelle che diventano scenografia, elementi chiave dello spazio narrativo, declinazione di un rapporto di pieni e vuoti, chiusure e aperture scientificamente calibrate. I due grandi tagli che perforano l’involucro, ‘piegando’ la maglia strutturale regolare (fatta di pilastri in cemento per 5 livelli di sviluppo) alla messa in scena del fronte spiazzante rivolto verso il fiume, rappresentano i nodi della composizione. Il più grande configura un tunnel irregolare che, dall’esterno, arriva fino alla terrazza sul tetto, restituendo tutte le potenzialità di una trasformazione della materia che incontra la luce, l’aria. E non un muro. Ma, nell’ottica di creare l’effetto vuoto, Jakob + MacFarlane hanno lavorato con una serie più articolata di bucature o “perturbazioni matematiche”, sottraendo massa in forma di tre volumi “conici” su tre livelli: all’angolo della facciata, sul tetto e alla quota del piano d’ingresso. È stato il modo creativo per dilatare lo spazio interno, per alterarne il senso del limite e per regalare viste inconsuete verso l’esterno, instaurando un gioco di rimandi che sono al tempo stesso scansioni ritmiche e sinestesie percettive di contaminazione sensoriale. “Queste perturbazioni” spiegano infatti i progettisti “producono spazi altamente dinamici e relazioni tra l’edificio e i suoi utenti. La prima instaura un rapporto visivo diretto con la struttura ad arco della hall che funge da contrafforte nel punto di raccordo con il capannone industriale a tre campate confinante. La seconda, ellittica, interrompe la regolarità dello schema ortogonale portante pilastro-trave all’angolo della nuova facciata e disegna il prosieguo di un atrio generoso scavato in diagonale nella profondità del volume. Il prospetto di facciata risulta, quindi, in questa porzione oggetto di uno slittamento verso l’interno, dove, corredato da una serie di balconate ed estesi camminamenti sviluppati in quota come elementi di collegamento agli spazi destinati ad ufficio, si presta a una percezione altamente mutevole di geometrie e visuali a seconda della posizione dello spettatore. All’ultimo livello, la grande terrazza ricavata sulla copertura piana completa lo scenario con il belvedere ampio e spettacolare sul panorama urbano”. Lo showroom RBC si trova invece al piano terra dell’edificio; riproponendo la medesima grammatica linguistica adottata per l’architettura del ‘cubo’, risulta concepito come un frammento esplicito della facciata-vetrina. “Racchiude un ‘fiume’ simbolico in tre dimensioni” spiegano i progettisti “che si traduce nella lunga parete espositiva a forma di L ritagliata da 60 ‘alveoli’ unici per taglio e geometria che ospitano selezionati pezzi di design, regalando di ciascuno una lettura specifica. Elemento ordinatore dello spazio, la parete dispiega e veicola poi il percorso dallo scenografico ingresso verso spazi più intimi, aperti alla vista del fiume e definiti da isole dedicate alla presentazione di mobili e oggetti di riferimento topico nello scenario internazionale. Anche gli spazi di lavoro riservati agli uffici sono stati delimitati da piattaforme pensate nel rispetto dei parametri della trasparenza, della luce e della ricerca del paesaggio esterno. Perché alla fine, tutto si gioca su una dimensione inside-outside che, a partire da una pelle speciale, ritrova nuove potenzialità di interscambio reciproco.