Siamo nell’abitazione londinese di Annabel Karim Kassar, architetto e designer con natali in Francia e base in tutto il mondo (tre studi: a Beirut, Dubai e Londra). Una grande casa su tre piani, più il basement, non in consueto stile vittoriano, nella zona di Camden/Primrose Hill, nelle immediate vicinanze di parchi e del centro. “Defilata e piena di luce, un luogo di ritrovo per la famiglia” spiega la progettista che ha firmato, tra gli altri, la ricostruzione di una parte del vecchio souk di Beirut trasformato in Entertainment Center.
“Non mi sento a casa da nessuna parte. Sono sempre pronta a partire, ma so prendere possesso dei luoghi. Così prima di affrontare questo progetto di radicale ristrutturazione e individuarne le linee-guida, anche nel mood, ho visitato alcune case. Molte mi ricordavano un pub inglese dentro un giardino cinese.
Quelle che più ho apprezzato si tramandavano da padre in figlio e restituivano un prezioso bagaglio in termini di eredità, anche nelle presenze del paesaggio domestico: oggetti, mobili, trofei, ricordi di viaggio di antenati che spesso erano stati soldati nelle colonie…Una materia che non mi era estranea. Così, ho maturato la convinzione che questa casa inglese avrebbe potuto essere un mix di sentimenti o nostalgie legati al mio percorso e alle mie esperienze personali”.
Quale e quanto paesaggio entra nella composizione?
“Lo considero parte integrante di un disegno complessivo degli spazi. Non un elemento decorativo posticcio, anche se quello naturale è soggetto alle regole dell’arte dei giardini. Nella fattispecie, l’ho pensato come intimamente legato agli ‘strati’ della casa e, lavorando in primis sui piani orizzontali, nell’ottica di restituire fluidità spaziale, mi sono concentrata sui pavimenti: tutti sono diventati parte di un processo che si può leggere compiutamente, dall’area d’ingresso outdoor segnata da lastre rotonde in granito grigio fino al giardino posteriore; quest’ultimo un rigoroso impianto naturalistico con molte piante autoctone e una pavimentazione che, quando non è verde, è in lastre rotonde di pietra bianca. Il medesimo materiale ritorna nella sala da pranzo/solarium e si declina come motivo in sughero nella cucina. Unica giustappposizione: le superfici uniformi in quercia con disegno chevron molto accentuato del parquet che accomunano tutti gli ambienti principali del living. Già a partire dall’area d’ingresso – un vestibolo ‘acceso’ da 28 scatole luminose su misura realizzate da CAI-Light, il brand di cui sono co-fondatrice con Isabelle Rolland e Christophe Hascoet, che occupano uno spazio sul soffitto bianco – ed è introdotta da una felce arborea del tipo Dicksonia Antarctica e da un’applique a testa di cervo realizzata sempre da CAI-Light”.
Quali sono state le altre scelte rilevanti in termini di concept e di realizzazione?
“Sentivo il bisogno di dare all’edificio una base sana e solide radici. Ho imparato per esperienza che molti progetti architettonici sono tristemente effimeri soprattutto in Paesi come il Libano, dove tutto può cambiare molto rapidamente, anche nel giro di poche ore. Così, istintivamente, ho cercato di ricostruirlo, partendo dal basement per arrivare al tetto. È stato un lavoro di totale riorganizzazione dello spazio, il frutto dell’intervento di un nutrito team di artigiani guidati dalla nostra interior designer Violaine Jeantet, mentre Alain Pin è stato responsabile del progetto illuminotecnico. Il loro know-how è ancora depositato nelle tracce sperimentali delle varie stanze”.
Temi sviluppati ed eventuali punti critici del progetto?
“Il primo è stato ridisegnare il basement come spazio multifunzionale, dove vivere, nuotare, giocare… L’identità del luogo aveva bisogno di essere riscoperta con elementi puri. Questo non ha significato azzerrare la decorazione, ma dapprima ho pensato a come ripristinare la forma rettangolare della piscina e a come spostare le scale, che ora sono elicoidali e in legno di eucalipto, all’estremità della stanza confinante e da lì alla sala da pranzo-veranda al livello superiore. Volevo portare il cielo e le suggestioni del giardino giù in cantina, per integrare in toto questo spazio con la casa. Dunque, ho vestito le pareti con grandi formati di marmo verde brasiliano resi ancora più spettacolari dal gioco degli antichi specchi in vetro soffiato a mano blu. Poi ho chiuso pazialmente il soffitto con un tetto vetrato, al quale ho appeso un lampadario a forma di diamante (1 m di diametro), che dialoga con la copertura tesa in Barrisol di colore grigio riflettente che potenzia visivamente l’altezza della stanza.
Il secondo tema: mi sono chiesta come reinterpretare la mia camera da letto al primo piano, uno spazio molto grande che ho cercato di animare, integrandovi una vasca giapponese in legno e un ‘cabinet de curiosités’ fatto di colonne attrezzate freestanding, bianche fuori e laccate in colori diversi all’interno. Il letto può essere occultato grazie a una tenda in seta fissata con una struttura curva al soffitto: così non ho bisogno di persiane perimetrali e l’effetto nido è garantito. Nient’altro.Tre tappeti composti come un’unica geometria lunga 12 metri completano il paesaggio dell’ambiente. A parte, la dressing room, la stanza tv e una zona ufficio. Sul terzo e ultimo livello, si articolano invece le camere degli ospiti con servizi dedicati.
Un altro punto affrontato dal progetto riguardava il collegamento tra i vari ambienti al piano terra riservato alle zone giorno. Tra la wine cellar e lo spazio toilette adiacente, la prima foderata di sughero la seconda una texture in pelle d’agnello, l’ho risolto con una finestra ad occhio, un oculus ad altezza uomo che mette in relazione visiva i due ambienti. Ho aperto invece l’entrata principale dal soggiorno con una campata larga 4 e alta 3,5 metri, disegnando un’enorme porta scorrevole in pelle caprina color melanzana su un lato e bianca sull’altro prospiciente l’entrance hall. Da quest’ultima, l’accesso agli ambienti cucina e studio è stato altresì sottolineato tramite porte laccate in foglia rasomuro. L’apertura di nuove finestre sul giardino, incorniciate dai rivestimenti delle pareti in pelle nera goffrata, mi ha poi permesso di aumentare la luminosità degli ambienti living. Un dato comunque è importante: in ogni intervento il colore è sempre e soltanto parte della materia adottata, fosse anche solo una pittura parietale”.
In questo tripudio di materiali che disegnano il ‘colore specifico’ di ogni ambiente, quale ritiene essere il segno architettonico più caratterizzante in termini di soluzioni generali e di dettaglio?
“L’elemento forte di tutta l’abitazione è senza dubbio la scala principale di collegamento tra i piani che sostituisce la preesistente in marmo, piuttosto statica e ingombrante sul piano visivo. È il risultato di un assemblaggio strutturale in loco di scaffali-libreria in legno Padauk che ne definiscono la balaustra e i suoi sviluppi dinamici in sezione. Il pezzo di artigianato davvero speciale della casa, per il quale abbiamo costruito parecchi prototipi, sulla base di schizzi e disegni”.
Alla fine, qual è l’ ambiente che preferisce?
“Il bar, una stretta grotta vestita di velluto rosso, con splendida vista sul giardino”.
foto di Georges Fessy, David Brook – testo di Antonella Boisi