Per quasi un chilometro, affiancata da severi capannoni che tradiscono l’origine industriale del sito, si allunga la via Regina Pacis. Volle chiamarla così, negli anni 60, Pietro Marazzi, figlio del fondatore dell’omonima azienda di ceramica emiliana, che rifiutò di farsi dedicare la strada, suggerendo il nome della Madonna (ancora oggi occhieggia dall’alto sull’intera area industriale).
Siamo nel cuore del distretto ceramico emiliano, a Sassuolo, dove a una città se ne affianca un’altra. Perchè Marazzi è cresciuta nel corso di 80 anni abbracciando il centro storico del comune modenese, diventandone parte integrante per storia e vita quotidiana. Insomma, una città nella città.
E i numeri sono impressionanti: oltre 300.000 metri quadri di superficie per un volume di 1.315.000 metri cubi, che disegnano un sito industriale di primaria importanza, un luogo di eccellenza non solo per la realtà economica locale ma per il made in Italy nel mondo. Complice anche il rinnovamento di tutti gli spazi architettonici.
“Abbiamo ridisegnato l’head quarter dell’azienda” ci spiega Gianluca Rossi di Uainot Architetti, che da anni collabora con Marazzi per il design dei suoi spazi in tutto il mondo. “L’obiettivo è stato quello di enfatizzare il ‘mood’ industriale del sito – Marazzi, infatti, è una delle più grandi aziende di ceramica a livello internazionale — e salvaguardare la sua storia, anche dal punto di vista dell’architettura. Questa è stata per noi una scelta irrinunciabile”.
A cominciare dai due nuovi showroom dedicati ai marchi Marazzi e Ragno, che hanno preso vita all’interno di ex capannoni industriali. “Non ci poteva essere luogo più adatto per mostrare i prodotti ceramici dell’azienda”, chiarisce il progettista, “Abbiamo ‘ripulito’ gli edifici che nel tempo avevano perso la loro connotazione industriale riportando bene in vista le capriate in ferro, la linearità dei volumi, la semplicità dei tagli spaziali; insomma, tutte quelle emergenze architettoniche che testimoniano il passato produttivo di questi luoghi”.
Facendo un passo avanti, però, perché oggi la fabbrica guarda oltre il suo cancello. Chiarisce l’architetto Rossi: “L’idea vincente è stata quella di inserire un nuovo fronte vetrato, che taglia orizzontalmente la facciata dei capannoni aprendo l’interno e le sue collezioni all’esterno, per portarle sulla strada e, quindi nella città. Non solo, davanti ai due showroom, una sorta di piazza, rivestita con una pavimentazione in ceramica, mostra i prodotti outdoor della produzione aziendale in un originale allestimento open-air, direttamente a contatto con il pubblico.
Se l’area degli showroom rappresenta la parte ‘pubblica’ di Marazzi, la palazzina uffici, completamente messa a nuovo (risale agli anni 50) è invece il cuore amministrativo e commerciale dell’azienda modenese, che qui ha voluto riunire tutti i suoi dipendenti. “Anche in questo caso non si è trattato di una semplice ristrutturazione ma di un attento recupero degli spazi architettonici, di un’operazione di mimesi, in cui l’edificio viene restituito alla collettività (e, soprattutto ai dipendenti), con nuove funzionalità dal punto di vista tecnologico e impiantistico, e un’immagine rinnovata”.
Complice il gioco cromatico del bianco e del nero che si fa artefice di un’originale opera di redressing. “Abbiamo ‘vestito’ la palazzina, originariamente in mattoni faccia-a-vista, con due non-colori”, sottolinea il progettista, “una sorta di seconda pelle che, senza alterare l’originale architettura a forma di ‘H’ dell’edificio, diventa da un lato cappotto-termico e, dall’altro, occasione di rinascita estetica. Il colore bianco, infatti, esalta la verticalità dei fronti principali, dando loro l’aspetto di torri, mentre il nero, al contrario, annulla quasi del tutto, mettendoli in ombra, gli spazi interni delle due corti”.
Infine, la ‘nuova’ Marazzi ha visto anche rinascere il luogo più antico e più importante della sua storia: il Crogiolo e, cioè, l’originario insediamento produttivo dove negli anni 30 si producevano le prime piastrelle e dove, negli anni 80, architetti, progettisti, artisti, ceramisti furono chiamati da Filippo Marazzi a sperimentare con la ceramica.
Un vero e proprio centro di ricerca, ‘crogiolo’ di nuove idee (da lì il suo nome). “Qui c’è stata”, conclude l’architetto Rossi, “una vera e propria operazione di restauro conservativo. Le eleganti capriate lignee, il pavimento in cemento, le bellissime facciate in muratura, la disposizione di porte e finestre: nulla è stato modificato, solo ‘ripulito’. La sfida è stata quella di aggiornare l’edificio con una moderna impiantistica, creando all’interno una sorta di ‘scatola’ super tecnologica, staccata dalla struttura originaria, che vive in modo del tutto indipendente”.
Dunque, una progettualità sostenibile spinta al massimo livello, diventando cifra distintiva dell’intervento architettonico nel suo complesso.
di Laura Ragazzola – foto di Saverio Lombardi Vallauri
MAURO VANDINI: LA CERAMICA? BELLA, TECNO E SOSTENIBILE
Mauro Vandini, ad di Marazzi Group, ci svela i progetti futuri dell’azienda modenese, uno dei simboli del made in Italy nella produzione di ceramica di qualità per pavimenti e rivestimenti. A cominciare dal nuovo stabilimento di Fiorano Modenese, fabbrica-modello per capacità produttiva, innovazione tecnologica e attenzione all’ambiente
intervista di Gilda Bojardi – a cura di Laura Ragazzola
A ottant’anni dal primo storico stabilimento a Sassuolo, Marazzi apre un nuovo polo produttivo in Italia, a Fiorano Modenese. A che cosa punta questo importante progetto?
Il nostro obiettivo è accelerare l’innovazione di prodotto e di processo. Tutta la storia di Marazzi è segnata da rivoluzioni tecnologiche che hanno cambiato il modo di ‘fare ceramica’ nel mondo. Pensiamo solo al brevetto della monocottura, ottenuto da Pietro Marazzi negli anni 70 quando nessuno credeva in questa tecnologia: permise di tagliare i tempi di produzione da 24 ore a un’ora, con enormi risparmi in termini di energia e di costi, e di introdurre prodotti con caratteristiche assolutamente nuove per formato e resistenza. Uno slogan pubblicitario di quegli anni recitava: “Marazzi sei grande”, presentando la piastrella monocottura dal rivoluzionario formato di cm 60×60. Da allora questa continua ricerca di innovazione non si è mai fermata…
…come dimostra il nuovo stabilimento?
Proprio così. Nello stabilimento di Fiorano la capacità produttiva passa da 4 a 9 milioni di metri quadrati annui di gres porcellanato. Ma soprattutto, quella di Fiorano è una fabbrica di ultima generazione, che impiega le migliori tecnologie italiane, rispettose dell’ambiente e della sicurezza, capaci di garantire non solo un’elevata produttività ma anche una maggiore flessibilità produttiva. Non sempre le due cose si accompagnano.
Lei ritiene che la flessibilità sia decisiva?
Assolutamente. Essere flessibili significa poter portare sul mercato nuovi prodotti in modo estremamente rapido. Ogni anno, per rispondere al cambiamento di gusto e di esigenze da parte dei consumatori, noi introduciamo circa il 20/25 % di nuovi prodotti. In modo provocatorio potrei dire che i produttori internazionali di ceramica dovrebbero pagare delle ‘royalties’ a quelli italiani per la loro capacità di innovazione di prodotto (il successo, a Bologna, del Cersaie ne è testimonianza). La nuova fabbrica di Fiorano ci consentirà di essere rapidi e flessibili in modo sempre più competitivo.
L’innovazione e il potenziamento produttivi del nuovo stabilimento fanno da controcampo al nuovo ‘quartier generale’ del Gruppo a Sassuolo…
Sì. Abbiamo voluto valorizzare le nostre origini, ristrutturando sia la sede degli Anni 50, che ora torna a ospitare gli uffici del Gruppo, sia il Crogiolo, e cioè il primo insediamento industriale di Marazzi, che risale agli Anni 30. Non solo. Abbiamo anche riconvertito gli ex capannoni industriali in due nuove ‘sale-mostra’, dedicate ai marchi Marazzi e Ragno, con le vetrine affacciate direttamente sulla strada.
Per portare l’azienda oltre il suo cancello?
L’idea è quella di farla vivere nel territorio. Vogliamo che Marazzi sia sempre più parte integrante della città di Sassuolo, della sua storia e della vita dei suoi cittadini.
Dall’Emilia all’America: la vocazione internazionale di Marazzi è culminata nel 2013 con l’ingresso dell’azienda modenese nel gruppo americano Mohawk Industries: quali sono le strategie aziendali di sviluppo da parte di Marazzi in questo scenario economico globale?
Abbiamo tre obiettivi: essere un team vincente per idee, creatività, capacità di innovare e gestire processi; continuare a perseguire e realizzare risultati di business sempre più significativi mantenendo la leadership del settore; infine, essere un centro di eccellenza all’interno di tutto il gruppo. Posso dire con orgoglio che già lo siamo, per il design, per la tecnologia, per l’affidabilità del brand.
Riportando la sede Marazzi dove è nata, a Sassuolo, abbiamo voluto anche rafforzare la nostra identità, lo spirito di gruppo, coinvolgendo tutti i dipendenti. Perché un’azienda è eccellente solo se al suo interno tutti condividono idee, progetti, ambizioni. E credo che sempre più il consumatore giudicherà un brand non solo per i suoi prodotti ma anche in base alla percezione che ha dell’azienda: se è un’azienda unita, corretta, ‘fair’. Insomma, l’affidabilità del marchio diventa un fattore irrinunciabile.
Anche per quanto riguarda gli aspetti di sostenibilità e responsabilità sociale?
Sicuramente. E certi valori vengono da lontano. Pensi che durante la ristrutturazione della palazzina abbiamo scoperto che negli Anni 50 erano stati previsti spazi di nursery, dove le ‘mamme’ potevano allattare i bambini. Ecco, in Marazzi, sostenibilità significa anche attenzione e rispetto verso i suoi dipendenti.
Per quanto riguarda l’aspetto ‘green’ più tradizionale, Marazzi sin dagli Anni 80 ha introdotto una produzione a ciclo chiuso, che significa, cioè, recuperare e reimmettere all’interno della produzione, non solo le materie prime ma anche le acque, il calore emesso dai forni. Oggi ‘lavoriamo’ anche gli scarti di aziende che non hanno la capacità tecnologica e produttiva per farlo. Diciamo che per noi essere ‘sostenibili’ è un fattore di responsabilità sociale ma anche di competitività e di percezione positiva nei confronti del brand.
Negli ultimi decenni gli architetti si sono ‘innamorati’ della ceramica. Quali sono secondo lei le ragioni di questo successo?
Per quanto riguarda Marazzi, da oltre vent’anni abbiamo una sezione Engineering che sviluppa soluzioni per l’architettura, dalle grandi dimensioni agli spessori extra, orientate alle esigenze dei progettisti. Tuttavia, il successo della ceramica è molto più ampio: dal consumer al residenziale, al retail. Le grandi forniture per l’architettura sono in crescita, ma rappresentano solo il 30 per cento del mercato.
In generale possiamo dire che la percezione nei confronti della ceramica è mutata?
Sicuramente. La ceramica è sempre più simile a un prodotto naturale. Grazie alle nuove tecnologie di decorazione — la stampa digitale — siamo in grado non solo di replicare texture, grafiche, colori naturali, ma addirittura inventarne di assolutamente originali. Senza contare che il prodotto ceramico contribuisce alla ‘salvaguardia’ di materie prime come pietre o marmi, che sono a rischio di esaurimento.
Vuole dire che la ceramica ha un futuro ambientalista?
Certo. E questo non solo per le performance energetiche ed ambientali della nostra produzione, ma anche per le nuove caratteristiche dei nostri prodotti in termini di estetica e di percezione al tatto, che si aggiungono a quelle già note ai consumatori per quanto riguarda l’igienicità e la resistenza.
Un esempio?
Il nuovo rivestimento ‘Materika’, che si è anche aggiudicato il Ceramic Design Award 2015, conferito da Adi: pura materia prima, semplice, naturale ma lavorata con una tecnologia avanzatissima.