L’idea di un’intervista a Carlotta de Bevilacqua sul rapporto sempre più stringente fra Artemide e il mondo dell’arte – a partire da alcuni progetti illuminotecnici dell’azienda, come quello realizzato per il nuovo allestimento della Pietà Rondanini o per la cupola del nuovo Louvre di Abu Dhabi firmato Jean Nouvel – si trasforma, per merito del torrenziale entusiasmo dell’architetto (vice presidente di Artemide e presidente di Danese), in una riflessione a 360° sul ruolo della luce nella società contemporanea.

“Se il secolo scorso è stato il secolo dell’elettronica, questo è quello della fotonica: la scienza della luce. Il secolo in cui la luce può elaborare e trasportare dati e immagini e, a sua volta, essere condotta senza cavi. Tutto ciò apre frontiere straordinarie per illuminare le zone buie del mondo, gli ospedali, le scuole… La fotonica è una risorsa di vita perché illumina la natura, l’umanità. Artemide sta investendo in tutto questo: non solo in proiettori per l’arte o apparecchi di design per l’ambiente domestico, ma in ricerca e cultura. Cultura è una parola chiave: noi progettiamo perché il mondo abbia un’educazione alla qualità della vita, e la luce è, insieme all’acqua e all’aria, uno dei tre elementi indispensabili alla vita stessa”.

Alla domanda se sia possibile quantificare economicamente l’investimento dell’azienda nel settore dei progetti dedicati all’arte, de Bevilacqua risponde: “L’investimento è difficilmente stimabile, perché riguarda troppe varianti: l’elettronica, le lenti (Artemide, dal 1985, possiede un Centro Ricerca e Sviluppo che progetta internamente i componenti optoelettronici più innovativi utilizzati all’interno dei propri prodotti)… Per noi è sicuramente un settore strategico e si può senz’altro dire che oltre un terzo della nostra ricerca è dedicato a collezioni volte a mettere in scena la vita, l’arte, la cultura”.

A proposito di una (supposta) diversità di approccio alla progettazione per un prodotto deputato a illuminare l’arte e uno decorativo, ecco cosa ha risposto l’architetto: “Il punto di partenza è sempre la luce, non il prodotto. La differenza tra un prodotto decorativo e uno non decorativo risiede nella modalità di fare luce, nel saper dare la risposta migliore secondo una griglia di valori, mantenendo sempre l’uomo al centro del progetto.

Eviterei queste distinzioni nette, noi non pensiamo mai a un prodotto ‘chiuso’, ma ‘spalmiamo’ il nostro sapere su più progetti, avvalendoci del sistema dell’open source. L’idea del progetto chiuso è finita, non ha alcun senso: dobbiamo avere la generosità di mettere a disposizione il nostro sapere e anche riuscire a far nostro quello degli altri. Bisogna far rete di saperi”.

Infine, Carlotta de Bevilacqua si sofferma su uno dei progetti più importanti (ed emozionanti) realizzati dall’azienda negli ultimi anni: la già citata illuminazione per la Pietà Rondanini nel nuovo allestimento curato da Michele De Lucchi: “De Lucchi ci ha chiamato per dirci che avrebbe collocato la Pietà al centro dell’Ospedale Spagnolo del Castello Sforzesco, e che avrebbe avuto bisogno di una luce che mettesse in scena lo spazio in modo omogeneo.

La sfida era quella di illuminare un corpo tridimensionale, un’opera testamentaria scolpita da Michelangelo negli ultimi anni della sua vita e che trasmette un doppio dramma: quello di Maria che sostiene il Figlio, e quello dello scultore che, ormai stanco, lascia sulla materia dei segni incompiuti. Eppure, proprio quei segni incompiuti sono la cifra della scultura, che è drammatica ma anche ‘morbida’, testimonianza di un commiato silenzioso e quasi sereno.

La difficoltà nell’illuminare la Pietà risiedeva nel far vivere l’opera senza un’ombra, senza che gli spettatori intercettassero la luce, ma anche senza creare un contrasto drammatico fra la scultura e lo spazio. Riuscire nell’intento è stato un onore e ha emozionato noi tutti: abbiamo reso possibile un’esperienza unica per milioni di visitatori, e lo abbiamo fatto in qualche modo senza ‘esistere’, progettando apparecchi il più possibile discreti e assenti nello spazio, nel rispetto dell’opera e della forza espressiva della luce. Il nostro approccio progettuale, umanistico e scientifico insieme, rappresenta la nostra identità. Dobbiamo continuare su questa strada, anche faticosa, per raccontare all’uomo un mondo di valori, di principi e di bellezza”.

Testo di Andrea Pirruccio