Questi due modi di concepire l’oggetto riflettono una dicotomia più profonda, filosofica, tra il mondo artificiale e il mondo naturale, caratterizzati il primo dal controllo razionale sulla realtà, il secondo dall’apertura morfogenetica alla libertà. Si tratta di una contrapposizione che, pur avendo segnato l’intera storia del design, trova oggi non facile collocazione nel nuovo scenario che sta profilando. La questione della sostenibilità rende infatti sempre più evidente come il problema di fondo dell’azione antropica sulla Terra non sia tanto la (pur sacrosanta) salvaguardia della dimensione naturale rispetto a quella artificiale, quanto piuttosto il fatto stesso che nelle nostre azioni, progetti e pensieri il naturale e l’artificiale si trovano su due fronti concepiti come distinti e contrapposti.
Ciò che appare sempre più necessario, dal punto di vista filosofico e, quindi, estetico, è una sintesi virtuosa tra naturale e artificiale, una crescita sinergica tra la carne del mondo e la struttura della civiltà, che tessa naturale e culturale come la trama e l’ordito di uno stesso racconto, quello dello sviluppo della vicenda umana nel nuovo secolo.